In molte storie, il villain è un ostacolo da battere, un nemico da fermare, una presenza incombente, come un muro. Eppure, una tecnica narrativa particolarmente potente e interessante sovverte questa dinamica, costringendo il protagonista – e, di conseguenza, il pubblico – a convivere con il male, a essere intrappolato in una relazione involontaria con l’antagonista.
Un perfetto esempio di questo espediente narrativo si trova nel caso di Matt Engarde in Phoenix Wright: Ace Attorney – Justice for All. Qui, il giocatore, nei panni di Phoenix Wright, scopre che il cliente che sta difendendo, a differenza della facciata da nice guy inconsapevole della realtà e del mondo a lui circostanti, è in realtà colpevole di un terribile crimine e della morte di uno dei suoi rivali, nonché indirettamente del suicidio di una ragazza che l’ha amato in precedenza.
Tuttavia, Phoenix non può ritirarsi dal caso senza provocare conseguenze devastanti, in quanto il farlo comporterà la morte di Maya, l’assistente di Phoenix, per mano del sicario complice di Matt Engarde.
Questa condizione crea una tensione emotiva unica e fa emergere una sensazione di impotenza, debolezza e conflitto morale straordinariamente coinvolgente.
La tecnica narrativa di restare bloccati con il villain
Costringere il protagonista – e il pubblico – a mantenere un legame forzato con il villain è una strategia interessantissima in quanto può far provare al pubblico i seguenti stati d’animo:
- Empatia forzata: pur sapendo che l’antagonista è una figura malvagia, la vicinanza continua porta il pubblico a comprenderne meglio motivazioni, i modi di ragionare e comportamenti, anche senza necessariamente giustificarli.
- Tensione costante: essere bloccati con un villain significa vivere ogni istante con il terrore e il dubbio che possa fare qualcosa di irreparabile.
- Conflitto morale: forse la nota più interessante, il protagonista deve decidere come comportarsi, se adattarsi, essere complice, oppure tradire il suo ruolo, cercare di sabotare il villain dall’interno o trovare una soluzione alternativa.
Questo tipo di narrativa è efficace perché rompe la separazione netta tra bene e male. Invece di combattere il villain, il protagonista deve convivere con lui, rendendo l’interazione incredibilmente più inquietante e profonda.
Matt Engarde: un villain con il quale non si vuole avere a che fare
Nella serie Phoenix Wright, i giocatori sono abituati a difendere persone accusate ingiustamente, cercando disperatamente di trovare la verità. Ma nel caso di Matt Engarde, tutto si ribalta: il giocatore scopre che il proprio cliente è effettivamente colpevole di aver commissionato un omicidio. Questa rivelazione porta a un dilemma senza via d’uscita: abbandonare il caso significa mettere in pericolo Maya Fey, costretta in ostaggio da un sicario che lavora per Engarde.
La sensazione di essere intrappolati con il villain è totale. Phoenix deve difendere un uomo che odia profondamente, consapevole che ogni sua azione potrebbe contribuire a mantenere impunito un colpevole. Il giocatore, invece, vive un senso di frustrazione e impotenza: normalmente, si lotta per la giustizia, ma in questo caso, il sistema legale diventa una gabbia da cui non si può scappare.
Un incubo e, allo stesso tempo, un paradosso inespugnabile.
Altri esempi di questa tecnica narrativa
Phoenix Wright non è l’unico esempio di questa struttura. Molti altri media hanno utilizzato la tecnica del protagonista bloccato con il villain per intensificare l’impatto emotivo della storia:
- Il Silenzio degli Innocenti: Clarice Starling deve interagire con Hannibal Lecter, un uomo mostruoso ma incredibilmente affascinante, per catturare un altro serial killer.
- Death Note: Light Yagami e L sono costretti a convivere in un gioco mentale esasperante, sapendo che uno dei due dovrà cadere per far vincere l’altro.
- Spec Ops: The Line: il giocatore viene messo in situazioni dove deve seguire ordini discutibili, creando una tensione interna che rende la storia quasi insopportabile.
Questi esempi dimostrano quanto sia efficace creare una relazione forzata tra protagonista e villain, trasformando la narrazione in un’esperienza quasi claustrofobica.
Costringere il pubblico a confrontarsi direttamente con il male – e a conviverci – è una delle tecniche narrative più potenti. Ed è proprio per questo che, quando ci troviamo bloccati con il villain, la storia ci colpisce nel profondo e ci lascia un segno indelebile.

