Il cattivo da film hollywoodiano funziona ancora? Sì – Il caso di Albert Wesker

C’è una regola non scritta nel mondo della narrativa: se il tuo cattivo somiglia troppo a un villain da filmaccio anni ‘80, forse è il caso di rivedere la sceneggiatura. Occhiali da sole al chiuso? Male. Monologhi su come sterminare l’umanità per “salvarla”? Peggio. Aspirazioni da divinità? Dai, su.

Eppure…

Albert Wesker, con il suo guardaroba total black, la voce da doppiatore teatrale e i piani da James Bond sotto steroidi, è uno dei cattivi più amati e riconoscibili della storia dei videogiochi. Sì, proprio lui, quello che in Resident Evil 5 ci regala perle immortali tipo:

“In less than five minutes, we will reach the optimal altitude for missile deployment. Uroboros will be released into the atmosphere, ensuring complete global saturation.”

Trovami un villain Marvel che abbia detto qualcosa di altrettanto extra.

La verità è che Albert Wesker non funziona nonostante sia una macchietta, ma proprio perché lo è. E da questo possiamo imparare molto.

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L’incubo che non ti lascia scappare: scrivere un mostruoso persecutore, il caso di Mr. X e Nemesis

Nel mondo della narrativa horror e dei videogiochi survival, alcuni antagonisti si scolpiscono nella memoria collettiva non grazie a trame complesse o profondi monologhi interiori, ma per la pura oppressione che esercitano sul protagonista e sul giocatore. Due esempi perfetti di questa tecnica narrativa sono Nemesis di Resident Evil 3 e Mr. X di Resident Evil 2. Questi personaggi non necessitano di una caratterizzazione psicologica approfondita: il loro stesso ruolo nella storia è quello di essere una minaccia costante, un’incarnazione della paura che non lascia scampo. Analizziamo come costruire un simile antagonista e perché questa tecnica funziona così bene.

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