Le mie opinioni su “Patèra – Il letto delle ombre” di Nico Olindo

La copertina di Patèra - Il letto delle ombre

Rispetto al primo libro della saga, “Patèra – Il letto delle ombre”, scritto da Nico Olindo, lima alcuni difetti, senza però intervenire su altri. La cripticità della storia e l’assenza di spiegazioni, problematiche che rendevano frustrante la lettura del volume precedente, sono presenti solo nella prima parte di questo sequel, che, infatti, è la meno riuscita delle tre sezioni in cui è diviso il romanzo. Le ambiguità spariscono poco per volta nei capitoli successivi e il rapporto tra i misteri presenti e le informazioni a disposizione del lettore diventa molto meno squilibrato. Nelle sequenze finali si riesce a seguire quel che succede senza sentirsi spaesati, al netto di qualche uso inedito del sistema magico che, anche se può cogliere di sorpresa, appare giustificabile.

A restare fumosa, invece, è l’ambientazione. Nel concreto il lettore scopre poco del regno di Patèra, dei popoli che lo abitano, della sua geografia e della cultura che lo caratterizza. Al di fuori degli eventi e delle persone che hanno un qualche impatto sulla vita di Danae, la protagonista, non sembra esserci quasi nulla di rilevante e diventa difficile temere per le sorti di un luogo del quale si conosce così poco. Sarebbe bastato qualche riferimento in più alla vita fuori dal castello e a luoghi diversi da Borgo, Pianapianta o Fierograno per creare l’illusione di un mondo più vasto e complesso. È possibile che questa limitata esposizione ai luoghi di Patèra sia una scelta voluta, un altro mistero da esplorare nei sequel, ma ha comunque reso il secondo libro meno efficace di quel che avrebbe potuto essere.

Sui personaggi si hanno molte più informazioni, ma anche in questo caso è difficile provare preoccupazione per la loro sorte (anzi, in alcuni casi può capitare di sperare che succeda loro qualcosa di brutto). La passività di Elia e il suo morboso attaccamento a Danae rendono difficile tollerarlo; Isaak subisce una brutta involuzione, solo in parte giustificata dagli eventi; Arianna pare perdere parte della grinta che l’aveva resa affascinante nel primo libro. Nella prima metà del romanzo anche Danae appare fin troppo remissiva, incline all’autocommiserazione e incapace di porre le domande giuste quando serve, poi per fortuna va incontro a una crescita soddisfacente, che raggiunge il suo culmine negli ultimi capitoli. Su altri personaggi si scoprono informazioni che li rendono più affascinanti e aiutano a capire meglio le ragioni dietro ad alcune scelte (ma non perché le abbiamo taciute anche nei momenti più cruciali).

A rendere pesante la lettura del volume è la sua atmosfera cupa e opprimente, che per la maggior parte del tempo non lascia filtrare neanche un raggio di speranza. Qualche momento di spensieratezza in più avrebbe permesso di allentare un po’ la tensione, rafforzare il legame con i personaggi e osservare qualche lato inedito della loro personalità. Inoltre, avrebbe reso ancora più strazianti le sequenze dolorose, che sarebbero spiccate su tutto il resto per la loro crudeltà. Solo del parere che l’umorismo, se ben dosato, possa funzionare anche nelle storie meno leggere. In alcune circostanze, oltre a piangere e tremare, gli esseri umani hanno bisogno anche di ridere per allontanare le preoccupazioni e non cedere allo sconforto e sarebbe stato bello assistere a qualcosa del genere anche in Patèra.

Lo stile di scrittura è adatto al tipo di storia raccontata, scorre bene per la maggior parte del tempo e aiuta a immedesimarsi con facilità in Danae ed Elia. Le parole sono scelte spesso con grande cura e non è raro apprezzare la costruzione di alcuni passaggi, che risultano potenti e capaci di evocare delle immagini ben precise. La stessa cura è riposta nei dialoghi, sempre coerenti con la caratterizzazione dei personaggi e utili allo svolgimento della trama. Purtroppo la ripetizione continua di alcune parole o situazioni fa perdere un po’ di impatto a quelle che avrebbero potuto essere delle sequenze interessanti. Per fare un esempio, le scene in cui Danae trema sono così frequenti che a un certo punto ogni volta in cui ne leggevo una, ridacchiavo e faticavo a prenderla sul serio. Forse anche i momenti in cui personaggi cedono al pianto avrebbero potuto essere dosati un po’ meglio, così da rendere ognuno di essi davvero significativo e non solo “uno dei tanti”.

Nel complesso la lettura è stata abbastanza piacevole, anche se non tanto da indurmi a divorare un capitolo dopo l’altro in preda alla curiosità. Come già accennato, il primo terzo del romanzo è stato il più ostico da superare, forse perché troppo vicino ad alcune sequenze che avevo mal digerito già nel primo volume. La situazione è migliorata parecchio dopo che si è verificato un evento capace di cambiare l’intero corso della trama e durante l’ultima decina di capitoli posso dire di essermi davvero appassionato alla vicenda narrata. Ho una discreta curiosità per i sequel, più che altro perché credo che, per forza di cose, dovranno affrontare temi diversi da quelli visti finora e introdurre nuovi luoghi, personaggi e conflitti.

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Autore: Alessandro Bolzani

Mi chiamo Alessandro e, oltre a essere un giornalista, sono l’autore del libro urban fantasy Cronache dei Mondi Connessi – I difensori del parco, edito da PAV Edizioni. Nel 2023 ho vinto il concorso Sogni di Fantasy 2 con il racconto Sylenelle, ladra di sogni. Collaboro anche con la rivista Weirdbreed, per la quale ho realizzato il racconto La carne più buona del mondo, alcuni articoli e delle interviste. Nel mio blog, Pillole di Folklore e Scrittura, parlo di libri, scrittura creativa, mitologia, credenze popolari e, in generale, di tutto ciò che mi appassiona.

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