Introduzione
Soul Eater è un manga shōnen scritto e disegnato da Atsushi Ōkubo, pubblicato sulla rivista Monthly Shōnen Gangan di Square Enix dal 2004 al 2013, per un totale di 115 capitoli. Circa a metà dell’opera, nel 2008, venne tratto un anime di 51 episodi, realizzato dallo studio Bones.
Proprio il fatto che l’anime venne progettato quando ancora l’opera doveva concludersi sarà oggetto di riflessioni nella presente recensione.
Sia l’anime che il manga seguono la stessa base di storia: in un mondo in cui il male imperversa, contaminando gli uomini con la sua follia, esiste, in Nevada, una scuola nella città immaginaria di Death City che addestra giovani all’uso delle armi.
Nel mondo di Soul Eater, specificamente, tali armi sono persone in grado di trasformarsi in falci, pistole, armi giapponesi e chi più ne ha più ne metta.
Gli apprendisti guerrieri sono chiamati “maestri d’armi” (nell’anime) o “artigiani” (manga): ognuno di loro ha l’obiettivo di raccogliere 99 anime di persone malvagie più l’anima di una strega.
Questo permetterà di trasformare la propria arma in una “Falce della Morte”, una versione potenziata dell’arma di base.
Lo scopo dell’esistenza della scuola è di mantenere la pace uccidendo i criminali e i malvagi, ed impedire che nasca un nuovo kishin (il Dio Demone), un essere che ha mangiato anime umane innocenti e ha raggiunto uno stadio demoniaco, in passato fenomeno già avvenuto con esiti catastrofici.
Soul Eater ha uno stile di disegni e un’atmosfera molto particolari.
Frequenti strizzate d’occhio all’arte gotica, ambientazioni prevalentemente notturne, una personalità irriverente e ribelle contribuiscono a creare un’opera unica nel suo genere, dal sapore tutto suo e differente da tantissimi altri shōnen.

Almeno fino a un certo punto, la storia, così come i personaggi, tendono a prendersi poco sul serio, con battute e situazioni demenziali quasi mai fuori luogo e davvero divertenti (in particolar modo, mi ha sempre divertito Death the Kid, uno dei deuteragonisti, con la sua ossessione per la simmetria).
Anche gli altri personaggi sono ben caratterizzati, ad esempio la protagonista vera e propria, Maka Albarn, una giovane “prima della classe” e ligia al dovere, che però ha un grosso complesso e disprezzo verso il padre, donnaiolo che ha tradito la madre. Questa la porta inizialmente a essere diffidente verso la propria arma, Soul, e in seguito a stringere un legame di fiducia che diventerà sempre più forte.
Soul Eater rompe molti stereotipi degli shōnen tradizionali ed è una delle ragioni per cui l’ho sempre amato.
Tuttavia, come detto, è un’opera che va vista/letta con la consapevolezza che l’anime e il manga sono due prodotti parecchio differenti. Vediamo subito le differenze.
Anime
Fino a circa poco dopo la prima saga della seconda stagione (la resurrezione del primo Kishin, il risveglio della strega Arachne e la battaglia per il BREW), l’anime segue fedelmente il manga.
Un lavoro certosino, curato nei minimi dettagli, che mi ha lasciato veramente soddisfatto. In particolar modo sono stato molto colpito dalle visual e dai colori vibranti usati per portare in vita il mondo di Soul Eater e le sue varie scene.

Tuttavia, proprio per la mancanza di appoggio al manga, l’anime inizia a divergere da quello che doveva diventare il prodotto finale.
Ammetto che non avevo ricordavo molto le esatte differenze nell’anime, avendolo inizialmente visto più una decina d’anni fa, ma dopo un recente rewatch ho, ovviamente, avuto modo di vedere cosa ricordavo diversamente, cosa mi è sembrato fedele e cosa mi è sembrato completamente sbagliato.
L’anime, a differenza del manga, dopo la battaglia per il BREW, preme l’acceleratore sulla storia in un modo che lascia confusi e insoddisfatti.
L’assalto al castello della strega Arachne, i retroscena sullo stregone Eibon e la battaglia finale contro il Kishin sono infatti tutti eventi parte di un unico arco narrativo, diviso tra Maka, Black☆Star e Death the Kid.
Mentre la DWMA si dirige al castello di Arachne per eliminare la strega e il Kishin, Maka agisce di testa sua e si lancia all’attacco di Medusa, per vendicare Chrona e recuperare il dottor Stein, caduto preda della follia e delle grinfie della strega.
Black☆Star, proprio come nel manga, affronta il samurai Mifune in un ultimo duello, iniziando a mettere piede nella via del guerriero e chi vuole diventare come combattente.
Death the Kid recupera l’ultimo degli artefatti demoniaci, scoprendo chi è Eibon e le vere intenzioni di suo padre.
Tutte queste storie collidono nello scontro finale con il Kishin, dove, in teoria, i tre protagonisti avrebbero fatto (o dovuto fare) passi avanti importanti per poterlo affrontare.
Nella pratica, ci sono molti problemi di struttura narrativa. Andiamo a vedere, più nel dettaglio, i tre mini archi narrativi.
Parlando della storia di Maka, ho anzitutto amato il payoff riguardante il dr. Stein, che cede davvero alla follia come era sempre stato premesso (e parte del suo personaggio). Basti dire che forse è l’unica differenza che preferisco rispetto al manga (dove il dottore riesce miracolosamente a mantenere la lucidità fino alla fine, senza alcuna conseguenza).
Il problema è che il payoff in sé è troppo poco e ammonta semplicemente al dr. Stein che si limita a fare, per metà della battaglia, la guardia del corpo alla strega Medusa, senza commettere azioni particolarmente salienti.
Crona, nell’anime in cerca di redenzione dopo il suo tradimento, si batte contro Medusa, ma, di nuovo, nemmeno questo risulta in scene particolarmente interessanti. Per quasi tutta la battaglia, Crona indietreggia spaventato, comprensibile di fronte Medusa, ma lascia comunque molto a desiderare.
La battaglia si conclude con la mossa finale di Maka che riesce finalmente a uccidere Medusa.
Di certo una scelta interessante, in quanto nel manga Maka non avrà mai un vero e proprio confronto finale con la strega, e forse tendo a preferire questa morte rispetto al manga (dove Medusa viene uccisa in modo relativamente anticlimatico – seppur grafico – da Crona). Sotto: anime vs manga.


La lotta di Black☆Star contro Mifune è molto simile rispetto al manga, eppure manca quel ché di spettacolare e memorabile che il manga è riuscito a rendere alla perfezione.
Nel manga, infatti, il personaggio di Black☆Star, seguendo la via del guerriero, diventa un combattente molto più maturo e serio. Questo viene mostrato con pochi scambi di dialoghi, una lotta senza esclusione di colpi e ferite, e un Black☆Star vincitore che rende onore al suo avversario dopo averlo sconfitto.
L’anime tenta di replicare queste emozioni, ma sia per mancanza di (successivo) screentime di Black☆Star, sia per visual abbastanza generiche, fallisce miseramente. L’impressione finale è che Black☆Star sia rimasto, bene o male, la stessa persona precedente al duello.
Infine, la storia di Kid è forse quella più deludente.
Si riassume nella ricerca dell’ultima componente del BREW in una cittadina abbandonata e distrutta da qualcosa di indefinito, che si scopre ben presto essere quelli che, nel manga, sono chiamati i “clown” (manifestazioni di follia), nell’anime praticamente robot guardiani senza nome.
Kid riesce abbastanza facilmente a sconfiggerli, recuperando così l’artefatto, e si dirige alla DWMA, confrontandosi con il padre, avendo nutrito, a lungo tempo, sospetti sul suo conto. I sospetti vengono quasi subito chiariti senza una reale evoluzione o maturazione nel personaggio di Kid.
Conclusi questi tre archi narrativi, il Kishin viene catturato dalla DWMA, ma riesce a ferire gravemente lo Shinigami in una seconda battaglia (di cui forse, in effetti, ho sentito la mancanza nel manga).
Successivamente fugge e spetta a Maka, Black☆Star e Kid doverlo eliminare una volta per tutte.
Tutti i problemi riguardanti la mancanza di maturazione e character development dei tre protagonisti si fanno sentire più che mai in questo ultimo scontro.
Se, nel manga, i colpi di Maka, Black☆Star e Kid hanno potenza sufficiente per impensierire il Kishin, dopo uno sviluppo credibile e significativo, nell’anime la loro potenza è assolutamente insufficiente e i loro power up continuamente ingiustificati.
Per tirare in ballo alcuni esempi: nell’anime, Kid connette le sue tre Linee di Senzu in una volta sola, per sparare un unico colpo potentissimo. Questo non è né spiegato né ha alcun significato importante, mentre nel manga significa l’ascensione di Kid a vera divinità, dopo un lungo percorso.


Il colpo finale usato per sconfiggere il Kishin è il culmine di queste insufficienze, letteralmente un pugno “condensato di coraggio” preceduto da una chiacchierata dal fortissimo e aspro sapore shōnen, che la serie ha sempre saputo evitare.
Facendo un passo indietro, è anche utile notare che molti personaggi introdotti nella seconda stagione, quali Giriko, la streghetta Kim, Justin Law e il vampiro Mosquito non hanno assolutamente lo screentime e dunque lo sviluppo presenti invece nell’opera principale.
L’esempio più lampante sono Justin Law e Giriko: non hanno altro che scene di lotta condite da punzecchiamenti reciproci manco fossero due amanti, mentre la questione diverge profondamente nel manga.

La conclusione è che, dopo la prima parte, l’anime non rende assolutamente giustizia a quello che è il manga, eccetto due o tre idee interessanti, ma mal eseguite (la follia di Stein; Maka che elimina Medusa; Arachne che tenta di controllare il Kishin, fallendo).
Manga
Abbiamo già visto nella sezione anime alcune differenze importanti presentate dal manga, ma qui verranno esplorate più in dettaglio.
Al tempo in cui acquistavo il manga, non avevo assolutamente idea che avrebbe differito dall’anime, quindi ricordo la mia sorpresa quando, superando il fatidico punto di “divergenza” tra i due prodotti, la strega Medusa chiede alla DWMA di allearsi per distruggere così Arachnofobia. Già da qui iniziamo a vedere sviluppi molto più interessanti rispetto all’anime.
Nel manga, Medusa è infatti un’alleata di Maka e squadra nella distruzione del castello di Arachnofobia, a cui partecipano, stavolta, tutti e tre i protagonisti.
Intanto, Black☆Star lotta contro Mifune, mentre Kid viene inizialmente ostacolato da Mosquito e assistito, nella lotta, dal licantropo Free.
Rispetto all’anime, Mosquito mostra una formidabile trasformazione in più, con la quale riesce inizialmente a sopraffare Kid e il licantropo, in una scena che mi rimase molto impressa e mi riempì di curiosità.
Qui inizia ad avvenire la maturazione di Kid come vero Shinigami, e la sua prima Linea di Sanzu si connette, permettendogli così di battere il vampiro (e di recuperare il suo braccio tagliato).
Intanto, Maka, Soul e Medusa raggiungono la porta che dà sulla stanza di Arachne, e, durante un attacco di follia, prodotto da quest’ultima, abbiamo modo di esplorare parte del passato di Soul, del tutto assente nell’anime (scempio!!!).
Soul viene infatti da una famiglia di musicisti, la famiglia Evans (infatti il vero nome del personaggio è Soul Evans). Non essendo però all’altezza del fratello maggiore Wes, Soul ha rinunciato a diventare un pianista e ha voluto diventare un’arma.
Nel manga, Arachne viene eliminata da Maka. Il corpo di Arachne viene rubato da Medusa (che recupera la sua potenza originale), e l’anima di Arachne viene divorata da Soul, che riesce così a diventare una Falce della Morte (trama completamente abbandonata nel manga).

Le differenze continuano: nel bel mezzo della lotta contro Mosquito, Kid viene catturato da un personaggio completamente assente nell’anime, lo stregone Noah.
Così come Noah è assente nell’anime, anche il suo arco narrativo è totale esclusiva del manga.
Nel manga abbiamo infatti la DWMA partire al salvataggio di Kid all’interno del libro di Eibon, dove, ogni capitolo, è la rappresentazione di un peccato capitale. Abbiamo quindi delle scene molto particolari e divertenti, ad esempio nel primo capitolo, quello della Lussuria, dove tutti i personaggi si scambiano di sesso.
A questo arco narrativo e la battaglia contro Noah seguiranno poi altri sviluppi interessanti, come l’impazzimento e la conversione a nemico di quello che sembrava l’incorruttibile Justin Law, la totale perdita di controllo di Crona e l’alleanza tra DWMA e streghe, nata forgiata grazie agli sforzi di Kid e della streghetta Kim.

Maka padroneggia lentamente i poteri della Falce della Morte; Black☆Star continua a seguire la strada del guerriero e a perfezionare sempre di più il suo corpo e la sua mente, Kid, grazie a queste avventure, comprende progressivamente cosa significa essere un Dio, che conseguenze avrebbe imporre l’ordine assoluto sul mondo, e dunque che genere di divinità vorrebbe essere e diventare.
Infine, il Kishin (assieme a Justin Law e Crona) saranno combattuti sulla Luna (letteralmente) con un finale ben diverso.
Se nell’anime il Kishin viene disintegrato, nel manga viene “semplicemente” sigillato (di nuovo) in una enorme sfera di sangue nero dopo che Maka riesce a ferirlo grazie a una sorta di Risonanza dell’Anima “mondiale”.
La sensazione finale è di un’opera con una storia molto più definita ed esplorata, che ha preso più tempo per curare parecchi dettagli, seppur con alcune occasioni mancate (il summenzionato dr. Stein, il cui arco narrativo non prosegue in alcun modo).
Tutti i personaggi risultano ben definiti e sviluppati, tant’è che le mie preferenze nel manga differiscono completamente rispetto all’anime (nel manga, la mia assoluta preferenza va al personaggio di Soul Evans).

Il manga riesce a mantenere molte premesse iniziali, tra cui il forgiare la Falce della Morte, gli effetti della follia che dilaga, l’idea che Maka sia più debole fisicamente sia di Kid che di Black☆Star ma riesca, grazie ad altre capacità, a compensare il divario.
Lo stesso sapore dell’opera rimane abbastanza simile, mantenendo momenti scherzosi (assenti nell’anime dopo un certo punto) nonostante l’atmosfera si sia resa più cupa a causa della resurrezione del Kishin.
Anche le visual restano ben rese e d’impatto.

Valutazione finale anime:
Valutazione finale manga: