Tradurre l’anima di un fumetto ft. Jessica Amoruso

Chi non adora in fumetti? (io in particolare 😄😂)

Trattandosi di storie con personaggi complessi e sfaccettati, ambientati magari in un setting particolare (ad esempio, una città o addirittura un paese specifici), già in fase di scrittura nella lingua d’origine i fumetti richiedono una grande abilità espressiva e un ricco e variegato vocabolario.

Figuriamoci in ambito traduttivo, dove bisogna carpire e rappresentare efficacemente quel che l’autore originale intendeva esprimere, senza bastardizzare o magari esagerare con la resa.

Jessica ha avuto modo di lavorare sulla traduzione di alcuni fumetti, per cui ho voluto ospitarla nella nostra solita intervista. Benvenuta e grazie per il tuo tempo! Prima domanda di rito: come hai iniziato a lavorare sulla traduzione per fumetti? Perché ti è stato commissionato? Avevi già esperienza in precedenza (ad esempio, con degli studi specifici), o si è trattato di una sorpresa?

Un po’ specializzandomi, un po’ per esclusione. Mi spiego.
All’università ho studiato traduzione legale ed economico-commerciale… utile, eh, per carità, soprattutto quella legale: mi ha dato la capacità di riuscire a barcamenarmi nei contratti con cui un libero professionista ha a che fare quotidianamente. Detto questo, però, pensare di tradurre solo quella tipologia di testi per il resto della mia vita mi faceva morire dentro. Non me ne vogliano i colleghi specializzati in quei settori ma per me è noioooooooooso…

Così, una volta finita l’università, mi sono guardata in giro alla ricerca di corsi di formazione in altri ambiti.

Traduzione tecnica? No thanks, i manuali delle lavatrici non mi interessano. Traduzione audiovisiva? Purtroppo sono ipoacusica (o come si dice nel linguaggio comune, mezza sorda) e il sottotitolaggio spesso viene fatto a partire dall’audio, non dal sottotitolo nella lingua originale. Non so se e quanto la mia perdita uditiva aumenterà negli anni, per cui non potevo specializzarmi in un settore e rischiare in futuro di non poterci più lavorare.
Traduzione medica? Ambito interessante, ma molto rischioso. Non per disprezzare o sottostimare la traduzione letteraria, ma se sbagli a tradurre una parola in un fumetto, rovini una battuta, ma non muore nessuno. Se sbagli a tradurre una parola nelle istruzioni di un farmaco, può rimetterci la pelle qualcuno. Non me la sentivo di assumermi un rischio del genere.
Traduzione di fumetti? È stato amore a prima vista quando ho visto il corso per la prima volta. E così, mi sono specializzata, tra gli altri settori di cui mi occupo, in fumetti.

Una volta finiti questi corsi, ho fatto quello che si fa quando si è liberi professionisti: ho contattato agenzie di traduzione e case editrici in cerca di opportunità, ho fatto test, li ho passati (purtroppo non sempre, ma questo fa parte del mestiere) e ho ricevuto offerte per tradurre i loro fumetti.

Non sono una persona a cui piace buttarsi in una cosa così alla cieca. Se voglio propormi come una professionista, devo sapere quello che sto facendo e non improvvisare perché “beh, mi piacciono i fumetti, li vado a tradurre”. Anche perché facendo così rischi di perdere subito il cliente che con tanta fatica hai acquisito, oltre a danneggiare la tua reputazione, visto che, una volta stampato il fumetto,  il tuo nome rimane associato a quella traduzione per sempre.

Approcciandoti ai tuoi primi lavorativi traduttivi in questo ambito, quali sono state le tue difficoltà principali? A cosa hai notato che dovevi fare più attenzione? Ci sono state volte che hai dovuto tornare indietro e migliorare una resa?

La prima volta ho fatto l’errore madornale di non leggere tutto il fumetto prima di mettermici a lavorare. E sfiga vuole che ci fosse un gioco di parole che veniva chiarito alla fine. Quindi, arrivata alla vignetta galeotta, ho realizzato di aver tradotto male il riferimento per TUUUUUUUUUTTO il fumetto. La gioia, proprio!

Non posso menzionare titoli o case editrici, comunque… praticamente in questo fumetto c’era un personaggio che ripeteva per tutto il volume “Bla bla bla is to die for!” ogni volta che menzionava qualcosa che gli piaceva.

Non volevo ripetere tutte le volte “Bla bla bla mi piace da morire” o “Bla bla bla è bello da morire”, perché mi sembrava troppo macabro e ripetitivo (in italiano, la ripetizione a volte funziona magistralmente, ma spesso ti fa diventare noioso e prevedibile), per cui inizialmente ho usato altri modi di dire assieme a questi due: “mi fa impazzire, “mi piace da impazzire”, “non c’è niente di meglio di”, “a tutti piace”, ecc…

Alla fine del fumetto si scopre che questo personaggio è il fantasma di un becchino (o necroforo, che dir si voglia) morto mentre mangiava il suo cibo preferito. Quel “is to die for” faceva riferimento alla sua ex professione, ma stava anche a significare che non aveva alcun rimpianto per essere morto nel modo in cui era morto, era in pace con sé stesso e con il destino che lo aveva fatto morire in quel modo (al contrario del protagonista). Così ho dovuto riscrivere tutto in modalità funerea ma accattivante allo stesso tempo. Per capirci: dopo quel fumetto avrebbero potuto benissimo assumermi come copywriter da Taffo, modestamente.

Comunque, lezione imparata. Da allora mi leggo prima tutto il fumetto e poi inizio a tradurre.

Quindi per rispondere alla tua domanda, i giochi di parole concatenati sono un aspetto a cui fare attenzione, ma la vera problematica dei fumetti è il riferimento visivo e la limitazione di spazio.

Lo spazio, beh, penso sia chiaro. Hai un balloon e lì dentro devi stare. Faccio un esempio con due lingue che non uso per lavoro perché la questione spazio salta molto all’occhio: cinese e spagnolo (lo spagnolo lo uso, ma come lingua di partenza). Mettiamo ad esempio che in un balloon, parecchio piccolo, ci sia scritto “你们…”, con i puntini di sospensione perché il personaggio rimane sorpreso e lascia in sospeso la frase. Quei due caratteri vogliono dire “voi”(letteralmente, il primo è “tu”, il secondo è l’ideogramma per il plurale). Se la lingua di destinazione è lo spagnolo, è un bel problema, perché in spagnolo si scrive “vosotros”(o “vosotras”, al femminile). Sono due caratteri vs. otto. Quel “vosotros” non ci starà mai nel balloon neanche a invocare Anubis. Che fare quindi? Probabilmente il collega spagnolo opterà per troncare la parola e scriverà “Vos…”, che si capisce che è la troncatura di “vosotros” o “vosotras”.

Ora mi impegno e vedo di fare un altro esempio con l’italiano. Prendiamo l’inglese “pet”(il sostantivo, non il verbo). Ci sono parecchi modi per tradurlo: animale domestico, animale da compagnia, animale, animaletto, cucciolo, cucciolotto o il nome della specie dell’animale stesso (cane, gatto, criceto e diminutivi e vezzeggiativi vari). Ma a meno che ‘sto cavolo di “pet” non sia un’ape, non c’è verso che la parola che useremo per rendere quel “pet” sia formata da tre lettere.

Che fare quindi se abbiamo un personaggio con due balloon di dialogo piccini picciò, con scritto “This is Jack.” e “It’s my pet!” (rispettivamente, 13 e 12 battute, spazi e punteggiatura inclusi)? Prima di tutto, tiriamo la proverbiale e manzoniana buona bestemmia e malediciamo quel tantino il disegnatore che nel suo processo di realizzazione del fumetto non si è fermato neanche un secondo a pensare a noi poveri traduttori di lingue più spaziose della sua.

Poi cominciamo a far girare gli ingranaggi nella scatola cranica. Partiamo dalla traduzione letterale: “Questo è Jack.”, “È il mio animale domestico!”: 14 e 27 battute. Non va. Ho già il problema di “pet”, perché non togliermi dalle scatole quel “È il mio”, che occupa solo spazio? E se lo mettessi nel primo baloon? Cacchiarola, però non ho posto nemmeno nel primo (T_____T). “Lui è Jack.”? Ho recuperato 2 battute, ma non è abbastanza. “Ti presento”… No, troppo lungo. “Ecco Jack.”? Non va bene, così sembra che chi parla abbia già precedentemente detto al destinatario del messaggio che c’è un tal Jack. “È il mio cane.”, “Jack!”: 14 e 5 battute. Evvai! Ho scelto la parola “cane”. Fosse stato un animale più lungo in italiano? Che so, lucertola? Probabilmente andrei con “amico”, perché in fin dei conti i nostri animali domestici sono un po’ i nostri amici.

Altra problematica (che, intendiamoci, può giocare a nostro vantaggio come a nostro svantaggio) è l’elemento visivo. Il fumetto V per Vendetta è interamente costruito linguisticamente sulla lettera V. La rosa che V, il protagonista, dona alle sue vittime è della specie Violet carson. La Violet carson è una rosa color rosino pallido, che si sposa alla perfezione con la palette di colori usata per il coloring del fumetto, ma proprio da chef’s kiss. Nell’adattamento cinematografico, una rosa di quel colore avrebbe fatto… come dire… ca*are.

Ecco quindi che hanno deciso  di rinunciare a un riferimento alla lettera V e hanno leggermente modificato il nome in Scarlet carson per poter utilizzare una rosa rossa che più rossa non si può (il nome della specie è Grand prix). Visto che nella storia si parla di una rosa (creduta) estinta, il tutto all’interno di un futuro distopico, aveva più senso inventarsi il nome di una rosa che non usare un fiore con il nome di un altro fiore. È stata una scelta molto sensata, secondo me. Questo per dire che bisogna prestare moltissima attenzione in una traduzione e/o adattamento che l’elemento visivo non cozzi con il testo.

Ti è mai capitato di leggere più volumi dello stesso fumetto, o di fare ricerche specifiche per avere una visione più approfondita dell’opera, e quindi riuscire a tradurre più efficacemente?

Assolutamente! Se mi affidano un volume di una serie (specialmente se non è il primo della serie), chiedo di avere originali e traduzioni dei volumi precedenti o la memoria di traduzione. Non sempre ci sono traduzioni o TM, perché è pratica comune far tradurre contemporaneamente più volumi a più traduttori per metterci meno tempo e poi far revisionare il tutto a un unico revisore. Ma in genere gli originali me li danno tutti.

Se hai fortuna e ti concedono IL SACRO ONORE di poter parlare con gli altri colleghi che stanno lavorando al progetto (no, seriamente, sembra di chiedergli un rene al cliente, quando mandi l’e-mail di richiesta), ci si mette d’accordo su un termine comune. Se invece si possono lasciare solo dei “messaggi in bottiglia”, come li chiamo io, tramite la TB comune caricata sul server (penso ad esempio nel caso di CAT tool come memoQ e Phrase, ex Memsource), il primo a cui capita il termine ne decide la traduzione, lo salva in TB e gli altri si adeguano. Nel caso, sarà poi compito del revisore decidere se cambiarlo o meno.

A scanso di equivoci, chiarisco che non ho mai il tempo di leggermi tutti i volumi precedenti, anche fosse solo uno, perché i tempi sono sempre strettissimi. I volumi li uso per fare ricerca di contesto tramite parole chiave.

Se, ad esempio, trovo un termine inventato chiaramente già noto tra i due interlocutori della vignetta, apro i file dei volumi precedenti e cerco quella parola per leggere quello che se ne dice al riguardo. Tu dirai: quindi quando hai consegnato poi te li leggi? No, per vari motivi: in primis, perché ti chiedono espressamente di eliminarli dal tuo computer una volta completato l’incarico e Jessica rispetta sempre le istruzioni del cliente; poi perché, molto banalmente, non ho tempo; terzo motivo, perché sai la frustrazione di poter leggere una serie solo fino a un certo punto e poi non riuscire a trovare i volumi finali in lingua originale (quella in cui lo hai letto fino a quel momento) e dover leggere il resto in un’altra lingua? No, grazie, troppo frustrante; in ultimo, perché a me piace consumare prodotti d’intrattenimento in italiano (libri, fumetti, giochi, videogiochi, film, serie TV…). L’intrattenimento è il riposo dal lavoro, è uno svagarsi, e io mi svago solo se ho il cervello impostato in italiano.

Quali sono stati alcuni termini o anche espressioni che ti hanno messo più in crisi? Ci sono stati invece alcuni termini ed espressioni che hai deciso di mantenere? Ci sono stati neologismi che hai dovuto creare?

Quel “is to die for” che ho menzionato prima è stato una bella gatta da pelare, quando ho dovuto renderlo in modi diversi ma facendo riferimento al tema della morte e delle pompe funebri. I termini che di solito mantengo sono quelli giapponesi lasciati nella versione inglese. Ebbene sì, lo ammetto, ho accettato di tradurre dei manga dall’inglese, usando l’inglese come lingua ponte. So che questo attirerà su di me un’ondata di disprezzo e ignominia da parte di molti colleghi che forse verranno a urlarmi in DM “DISONORE! Disonore su tutta la tua famiglia! Disonore su di te, disonore sulla tua mucca…”, ma c’est la vie.

Tornando alla domanda, li lascio soprattutto se sono termini molto conosciuti: samurai, sakura, geisha, karate, sumo, aikido, tutti i vari tipi di sushi e moltissimi piatti tipici. Il lettore di manga medio è un appassionato di cultura giapponese, quindi tutte queste parole le conosce. E per chi non le conoscesse, ci sono quasi sempre degli asterischi che rimandano a brevi definizioni ai bordi della pagina, quindi avrebbe anche poco senso tradurli, quei termini. Se ho, che ne so, una frase con “takoyaki*, e sotto c’è la nota “* Fried octopus meatballs typical of Japanese cuisine” e io traduco “takoyaki” con “polpette di polpo”, dopo che ci scrivo nella nota? Ripeto “polpette di polpo”? Che senso ha? Metto solo “* Piatto tipico della cucina giapponese”? Sì, potrei, ma il lettore, anche quello che non sa niente di cultura giapponese, pensa: “Grazie al ca**o che è un piatto giapponese. È un manga ed è ambientato in Giappone, ci arrivavo anche da solo”. Le note vanno messe quando si usa un termine straniero che il lettore POTREBBE non conoscere (prendendo come riferimento un lettore non esperto della cultura del testo di partenza), non devono sottolineare l’ovvio. E comunque voglio vedere chiunque a far entrare “polpette di polpo” nello spazio che occupa la parola “takoyaki”!!!!!

Non sempre è facile intuire come procedere, in questi casi.

Sbagliatissimo, secondo me, è invece localizzare. Mi spiego.

Localizzare significa dare un sapore locale a un testo straniero. Con un fumetto (o manga giapponese, o manhua cinese, o un manhwa coreano) non si può fare. In primis, perché magari hai dei riferimenti visivi (ma anche testuali, se viene detto, ad esempio, che gli eventi della storia si svolgono a Tokyo centro) che ti impediscono di tradurre “shrine” con “chiesa”. Un tempio è un tempio, fine. O magari c’è addirittura il termine “torii” (鳥居, che non è esattamente il tempio ma quell’arco quadrato all’ingresso, ma fa li stès, come diciamo dalle mie parti). Il fumetto è traducibile, non localizzabile. Altrimenti dovresti ridisegnare completamente tutto il fumetto per ogni lingua in cui viene tradotto.

Quindi i nigiri non diventano né bastoncini di pesce né un piatto di pasta, così come le tapas spagnole non diventano cicchetti veneziani. Un hamburger può diventare un panino? Volendo sì, se è citato in maniera poco rilevante nella storia. Ma se è un fumetto americano ambientato negli Stati Uniti e il personaggio mangia hamburger tutti i giorni e la storia ruota attorno a questo dettaglio, rimane un hamburger. E se un personaggio di 16 anni guida la macchina, non lo faremo improvvisamente girare in bicicletta in stile Don Matteo. Alla consegna, si farà presente al cliente che gli illustratori italiani dovranno aggiungere una nota a pagina X con scritto “Negli Stati Uniti, l’età minima per avere la patente è 16 anni.”

Per quanto riguarda i neologismi, non direi di aver avuto l’onore (e l’onere) di crearne nell’ambito dei fumetti. Mi capita invece spesso quando traduco videogiochi (che ha statisticamente senso, visto che è il settore in cui lavoro di più). Il più delle volte si tratta di un ritorno alle origini, se così vogliamo chiamarlo: uso prefissi e suffissi di origine latina e greca. Vaffantubo agli NDA, non posso citarne nessuno… Aspè, famme pensà… Mmmmmmmmmm… Ecco, se avessi “bird-eater”, probabilmente lo tradurrei con “ornitovoro”. Potrei anche usare qualcosa proveniente dal linguaggio comune, come “cacciauccelli”, “mangiapennuti” o “divoravolatili”… ma poi dovrei fare i conti con un pubblico che prende in giro la mia scelta traduttiva sui social network dicendo che sembra un riferimento a una persona a cui piace praticare la fellatio. Il mio motto quando traduco è: Think with the dirtiest of minds, ALWAYS!

In che modo ragioni quando traduci un personaggio? Ti capita mai di provare ad immedesimarti in esso e nei suoi sentimenti?

Se la domanda può essere parafrasata con “Ti capita mai di assumere l’intera personalità del personaggio che ti piace di più di un fumetto fino alla consegna e spesso anche per diverse settimane dopo?”, la risposta è: “Beh, adesso, sempre sempre… Quasi sempre”. Ammetto però che questo meccanismo si è innescato quando ho iniziato a essere pagata meglio. Prima mi concentravo solo sul testo.

Era una frase da ragazzino impacciato? La rendevo con una frase da ragazzino impacciato. Due pagine dopo diceva una parolaccia? Gli facevo dire una parolaccia. Facevo il mio lavoro senza farmi condizionare emotivamente dalla storia né immedesimandomi. Un po’ triste, se devo essere sincera… Il traduttore dovrebbe sempre essere il fan numero uno dell’autore che traduce. Però, sai, quando sei ai primi incarichi (purtroppo) devi abbassare la testa e accettare delle tariffe misere, che se potessi tornare indietro mi prenderei a ceffoni da sola per essermi svalutata così e per aver regalato il mio talento in quel modo (mi sto lodando un po’ troppo? Pazienza, mamma mi ha sempre detto che se aspetto che siano gli altri a farmi i complimenti faccio in tempo a morire). Quando poi dimostri al cliente che sei brava, puoi provare a chiedere di più (spoiler: è più facile che trovi un nuovo cliente che paga meglio piuttosto che il cliente attuale ti aumenti la tariffa, almeno nella mia esperienza). Ma sto divagando, sorry. Dicevo, ora invece mi prende molto la storia.

Però il pensiero di come rendere nel modo più efficace una frase si scontra con gli elementi che ho citato prima: spazio e immagini. Soprattutto lo spazio. E quindi il processo traduttivo molte volte si trasforma ina una sorta di caccia alla parola più breve.

Quali sono alcuni degli strumenti e/o software traduttivi che utilizzi di più e che sentiresti di consigliare?

Esistono essenzialmente 4 metodi per tradurre un fumetto:

  • ti mandano il file originale, nel formato che sia, e tu ti arrangi come preferisci. Se è un formato supportato da memoQ, uso memoQ, così mi rimane la memoria di traduzione. Se è un formato non supportato da memoQ ma da un software di grafica che ho, tipo PhotoShop, uso quello. Seleziono la casella di testo, cancello il testo originale e metto la mia traduzione. Ovviamente faccio prima una copia del file originale (o lo converto in PDF o è il cliente stesso a mandarmi anche il PDF) e lo tengo sul secondo schermo, così da poter sempre confrontare le due versioni. Altrimenti quando arrivo alla fine e rileggo da capo per revisionare, chi caspio si ricorda cosa c’era scritto in origine nella prima pagina? Attenzione a non accettare MAI E DICO MAI di lavorare su un PDF. Il PDF serve solo come riferimento per vedere la resa finale di un prodotto, ma è totalmente ingestibile. Una casa editrice lo sa e non te lo proporrà mai. Se è invece un’agenzia di traduzione o un cliente un po’ losco/ambiguo/sospetto che vi chiede di lavorare su un PDF: l’agenzia non è un’agenzia professionale ma sono dei totali improvvisati; il cliente losco/ambiguo/sospetto vuole al 99,999999999999999999% una traduzione illegale ed è una potenziale truffa a scapito vostro. Voglio spiegare bene questo concetto quindi finisco di rispondere alla domanda e poi spiego;
  • altra possibilità è quella di mandarti un progetto sul server memoQ del cliente, o un pacchetto Trados per e-mail, o un link da cui scaricare il pacchetto, o un progetto su un altro CAT tool su browser a cui accedi con le tue credenziali e ti ritrovi il progetto nella home. Di solito questo avviene con le agenzie di traduzione, è raro che le case editrici usino i CAT tool. È lo scenario ideale per il traduttore, ma non il più probabile. Bisogna comunque che il cliente ci mandi anche il fumetto. I CAT tool non permettono quasi mai di visualizzare immagini nelle finestre di anteprima. È fondamentale avere il PDF come riferimento visivo (anche perché, come ho detto prima, devi leggerlo!), altrimenti traduci alla cieca ed è letteralmente impossibile;
  • poi c’è il cliente che ti manda il file PDF e il file in formato originale senza testo, da riempire. E lì ovviamente i CAT tool te li dimentichi e devi usare il software di grafica che serve per aprirlo (Adobe PhotoShop, Adobe Illustrator, Clip Studio Paint, Krita, Manga Studio, ecc.). Selezioni l’opzione della casella di testo clicchi dove c’è il baloon e inserisci la traduzione. Io non lo so come svuotino il fumetto dei testi, forse riescono a selezionare in un colpo solo i layer dove c’è del testo e li eliminano tutti insieme. Spero sia così, perché cancellare ogni singola casella di testo una per volta lo trovo un modo molto produttivo di perdere tempo;
  • ultima possibilità: il cliente (di nuovo, spero con un processo di automazione abbastanza efficiente) estrae i testi dal file del fumetto e te li manda in un pratico foglio di calcolo, e ti chiede di mettere la traduzione in una determinata colonna. Lui poi importa nel suo software il foglio di calcolo e crea il file finale tradotto. Ovviamente, in questo caso si usa un CAT tool, visto che i formati di Excel e fratelli sono i più semplici da importare e gestire e, ormai l’avrete già indovinato anche voi, cari lettori, ci facciamo mandare il PDF.

Un appunto: nei casi 1 e 3, dove lavori direttamente sul file che poi verrà utilizzato per la stampa o che verrà trasformato in un formato di stampa digitale (gli e-book, per intenderci), la tariffa deve essere maggiore. Perché? Perché il cliente pretenderà appunto che il file consegnato sia pronto per la stampa, ergo sarai tu a doverti occupare dell’impaginazione. E questo richiede tempo. Tempo da fatturare. Se invece il cliente dà indicazioni di tradurre cercando di rispettare quanto più possibile il numero di caratteri dell’originale o di non superare il limite del X% in più di caratteri, perché sarà poi l’impaginatore che si occuperà di mettere tutto a posto, allora puoi accettare una tariffa leggermente più bassa.

Ora, torno alla parentesi che ho iniziato prima. Perché non bisogna fidarsi di un cliente che vuole che traduciamo il fumetto in PDF? Perché è sicuro come la morte che si tratta di una piattaforma illegale, che ha acquisito illegalmente il fumetto originale e che sta cercando di truffarvi per avere una traduzione professionale gratis, da postare poi illegalmente sulla piattaforma e vendere abbonamenti o far pagare i singoli volumi agli utenti (a prezzi naturalmente molto molto bassi). Spesso si fingono gli autori stessi del fumetto, dicendo che vogliono gestire in prima persona la traduzione della loro opera, quindi guardate l’indirizzo e-mail da cui vi scrivono, cercate i profili social dell’autore e contattatelo direttamente da lì.

Forse alcuni pagano anche (non credo, perché un soggetto che agisce illegalmente per definizione sarà bravo a non farsi trovare quando sarà ora di pagarvi la fattura), ma in ogni caso la vostra traduzione rimane illegale. Questo perché non è che io posso scaricare un testo protetto da copyright/diritto d’autore (che legalmente parlando sono due concetti diversi, ma per amor del pragmatismo facciamo finta che siano la stessa cosa) e tradurlo perché mi va. Cioè, sì, posso farlo ma:

  1. devo acquistare legalmente il testo;
  2. posso crearne la traduzione e tenermela per me o farla leggere a qualche amico, ma non posso pubblicarla in alcun modo, né in formato cartaceo, né elettronico. Può essere usata in ambito accademico, come una tesi di laurea con una proposta di traduzione, ma resta il fatto che non può essere pubblicata (senza espressa autorizzazione dell’autore).

Questo perché l’autore originale deve dare il permesso per tradurre la sua opera. Quando ti arriva l’incarico da una casa editrice o un’agenzia di traduzione assunta dalla casa editrice che pubblicherà la traduzione, è perché essa ha acquistato i diritti economici sull’opera. Lei e soltanto lei è autorizzata a pubblicarla. Anche perché l’autore originale riceve un compenso anche sulla vendita dell’opera tradotta. Se voi prendete e pubblicate la vostra traduzione dell’opera, gli arrecate un danno economico e siete passibili di denuncia. Per cui: no ai siti illegali dove vengono venduti o anche messi gratuitamente a disposizione libri e fumetti e loro traduzioni senza autorizzazione; e no alle cosiddette scanlations da parte di fan, studenti di giapponese che vogliono allenarsi con la lingua traducendo manga e compagnia. Chiedo scusa per lo sfogo, ma penso sia dovere mio e di tutti i miei colleghi far capire al pubblico il danno che si produce con queste pratiche.

Grazie per il tuo tempo e per le tue risposte! 😊
A seguire, ecco i contatti di Jessica per chi volesse contattarla:

In allegato anche CV-Carosello:

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Autore: Gabriele Glinni

Esperto di informatica, amante della scrittura creativa. Autore di Ascend-ent e Descend-ent. Sostenitore dell'arte della composizione di messaggi efficaci ed eloquenti.

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