Visitare la mostra di Edvard Munch a Piazza Venezia è stato come entrare in una dimensione parallela, dove l’arte non consola ma inquieta, non intrattiene ma scuote. Mi sono trovato immerso in un universo fatto di sguardi vuoti, urla silenziose e colori violenti che sembravano esplodere dalle tele per avvolgere tutto ciò che avevo intorno. È difficile restare indifferenti davanti alle opere di Munch: ti guardano, ti sfidano, ti costringono a confrontarti con la parte più fragile e oscura di te stesso. E proprio questo, forse, è ciò che più ho apprezzato della mostra: quella sensazione sottile di disagio che si insinua e ti accompagna anche dopo essere uscito.
La vita tormentata di Edvard Munch
Per comprendere davvero Munch, bisogna partire dalla sua biografia, che pare scritta da un destino crudele. Nato nel 1863 in Norvegia, perde la madre quando ha solo cinque anni e poco dopo anche la sorella maggiore, entrambe vittime della tubercolosi. La malattia, la morte e la solitudine diventano presenze costanti nella sua vita, tormenti che l’artista trasforma in visione pittorica.
Non a caso, tra i suoi scritti troviamo riflessioni amare e lucide: “La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che vegliavano sulla mia culla”. È come se l’inquietudine esistenziale fosse la sua unica eredità certa, un seme che ha germogliato in un’arte intensa, visionaria e disturbante.
Uno stile che anticipa l’Espressionismo
Dal punto di vista stilistico, Munch sfida ogni convenzione del suo tempo. Influenzato dal Simbolismo, sviluppa una pittura carica di tensione emotiva, dove le linee curve, i colori acidi e le figure stilizzate raccontano stati d’animo più che scene reali.
Il dolore, la paura e il desiderio si mescolano in una danza ipnotica e crudele, che raggiunge l’apice in capolavori come “L’Urlo”, dove tutto vibra: il cielo, l’acqua, il volto deformato da un’angoscia universale. In mostra, anche senza avere davanti l’originale, si percepisce chiaramente come quest’opera sia diventata il simbolo visivo del panico e dello smarrimento moderno.
La forza ipnotica della mostra
Girando tra le sale allestite con discrezione e intelligenza, il senso di macabro diventa tangibile. Ogni quadro è un frammento di psiche, ogni sguardo dipinto sembra voler raccontare una storia di perdita, ossessione o delirio.
Ciò che colpisce non è solo il tema costante della sofferenza, ma la capacità di renderla estetica, quasi magnetica. È difficile distogliere gli occhi da quelle tele, come se si fosse catturati in un sogno febbrile da cui non si vuole del tutto svegliarsi.

