Benvenuti a una nuova intervista di Pillole di Folklore & Scrittura! Oggi andremo ad approfondire la conoscenza di Arcadio Di Iorio, l’autore del romanzo distopico “Andropoli”. La sua fatica letteraria, edita da Rossini Editore, è ambientata nell’Italia del 2111, dove la maggior parte degli uomini vive in una città-isola sulla quale le donne sono del tutto assenti. Anche in un futuro così remoto alcuni aspetti della società restano uguali (come l’amore per il calcio e la presenza del crimine organizzato), ma non mancano delle inquietanti differenze.
Ciao Arcadio e grazie per il tempo che hai scelto di dedicarci! Partiamo con una domanda classica: cosa ti ha spinto a scrivere “Andropoli”?
Era un po’ di tempo che avevo in mente questa storia, che nasce sia dalla passione per le distopie che dall’urgenza di trattare temi attuali come la disparità di genere e il divario tra le classi sociali. Per quanto riguarda il primo tema, ho pensato di affrontare il maschilismo sia da fuori che da dentro: oltre a descrivere la sofferenza delle donne perseguitate volevo fare una sorta di analisi della cultura maschile, in modo da evidenziare che lo stesso mondo degli uomini perderebbe di senso una volta allontanato l’elemento femminile dalla vita sociale. Quanto al secondo tema, Andropoli si presenta come una distopia capitalista, ma il messaggio di fondo non poteva essere di segno opposto, come in Individutopia di Joss Sheldon, che costruisce un liberismo estremizzato per fare propaganda al socialismo: ho sentito l’esigenza di essere imparziale e l’ho fatto mettendo in scena un dibattito inconcludente fra due personaggi che troveranno una quadra soltanto nell’amicizia, perché le ideologie finiscono sempre per dividere gli uomini senza risolvere niente.
Ci sono autori di romanzi distopici ai quali ti sei ispirato?
Ci sono romanzi da cui ho preso alcuni spunti. La segregazione di genere è pre sente anche ne La notte della svastica di Katharine Burdekin. Il fatto che le masse vengano tenute lontane dalla lettura è un richiamo a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, anche se in Andropoli il divieto è limitato all’ultima classe sociale; nel testo c’è anche un’allusione più esplicita ai pompieri di Bradbury, ma è uno spoiler che preferisco non fare. Infine devo ammettere di aver rubato a Philip Dick l’idea del risentimento che alcuni uomini potrebbero forse provare nei confronti dei robot, con la differenza che nel mio romanzo il regime è fin troppo schierato dalla parte degli androidi.
Quanto è diversa la società attuale da quella descritta nel tuo libro?
Sotto certi punti di vista sembrano quasi sovrapponibili: ci sono le scuole, i supermercati e i parchi dove i nonni portano i nipotini a passeggio, gli uomini vanno allo stadio, al cinema e seguono i dibattiti in TV: se ci chiudiamo dentro la capitale e non facciamo caso alla mancanza delle donne, potrebbe sembrare il mondo di oggi, a eccezione della presenza dei “roboaddetti” (androidi con intelligenze artificiali utilizzati per varie mansioni), ma uscendo nei distretti esterni ci rendiamo conto di differenze mol to profonde, come il fatto che i disoccupati non hanno il diritto di voto; inoltre la struttura fisica e politica dell’Italia è stata completamente stravolta dall’innalzamento dei mari e da continue guerre intestine. Altri aspetti sono riconoscibili perché ho voluto comunque rappresentare la cultura italiana, dal buon cibo alla corruzione, dal calcio alla mafia ecc.… un po’ come dire che alcune cose non cambieranno mai!
Attualmente hai qualche nuovo progetto in cantiere?
Ho scritto diversi racconti brevi e devo decidere cosa farne. A proposito della questione di genere ho scritto una vicenda realmente accaduta a una ragazza durante la seconda guerra mondiale, ma per ora è soltanto un file nel mio computer che attende di conoscere il suo destino. Tempo fa avevo iniziato uno spin-off su un personaggio di Andropoli, ma queste operazioni sono sempre rischiose dal punto di vista editoriale. Se dovessi scrivere un altro romanzo distopico lo farei diverso da Andropoli: mi piacerebbe sperimentare uno stile simile ad Arancia meccanica di Anthony Burgess, cioè chiudendo maggiormente il focus intorno al protagonista.
Oltre al distopico ci sono altri generi che ti piacerebbe scrivere?
Ci sarebbe il genere fantasy: m’incuriosisce e m’intimorisce allo stesso tempo. Da ragazzo scrissi una saga su una guerra tra uomini e draghi, ma poi finii per calcare troppo la mano sugli aspetti politici degli uomini e l’elemento fantasy andò quasi a scomparire; quindi mi è rimasta la curiosità di introdurre nella narrazione elementi fantastici, ma non sarei tagliato per inventare mondi di tipo tolkieniano. Il motivo per cui il fantasy m’intimorisce è l’eccessiva libertà espressiva: la magia non ha limiti al l’infuori di quelli imposti dall’autore stesso, ma come stabilire questi confini?
In effetti è una bella sfida, ma da autore specializzato in quel genere posso dirti che è piuttosto appagante riuscire a vincerla. Ma torniamo a te: quali sono i libri che ti hanno formato nel corso degli anni?
Sicuramente 1984, che fin da ragazzo mi diede l’impressione che Orwell avesse capito davvero tutto dell’uomo contemporaneo: andrebbe letto nelle scuole insieme a Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt; a questo proposito devo sottolineare anche l’importanza della letteratura no fiction: ci sono testi come La rivoluzione francese di Pierre Gaxotte o Alcune considerazioni sulla filosofia dell’hitlerismo di Emmanuel Lévinas che mi hanno costretto a spostare la riflessione al di fuori degli schemi che ci vengono proposti a scuola. Può sembrarti strano, ma persino il De senectute di Cicerone ha avuto un’influenza su di me: era l’ultima lettura che avevo fatto prima di scrivere Andropoli e mi ha spinto a parlare di un tema un po’ controverso che il letto re troverà nella seconda parte del romanzo. Poi sicuramente aggiungerei le distopie che ho già citate e altre che non cito per non dilungarmi troppo: fra quelle dei giorni nostri una delle mie preferite è Hunger Games di Suzanne Collins.
Che consigli daresti a chi desidera scrivere un romanzo distopico?
Non so se sono in grado di dare consigli, ma forse ciò che si dovrebbe evitare parlando del futuro è di vivere troppo sotto l’ombra del passato, cioè riproponendo storie simili alle letture fatte: se qualcuno pensa di scrivere una distopia ispirandosi completamente a Huxley, non potrà parlare del futuro con elementi utili all’uomo del XXI secolo. Nel ripeterci siamo anche condizionati dalla cinematografia americana, dove gli schemi proposti sono più o meno sempre gli stessi (ne sono stato influenzato anch’io: in due degli ultimi capitoli di Andropoli c’è un fatto che vi ricorderà Matrix o Snowpiercer); quindi siamo portati a credere che gli elementi costitutivi di un genere, in questo caso il distopico, siano già dati e che tutto dipenda da come li tratti. Invece sarebbe interessante pensare al futuro in modo nuovo, innovativo, anche a costo di tradire i maestri. Non dico di esserci riuscito. Probabilmente no. Saranno i lettori a giudicarlo.
Ringrazio ancora Arcadio per essersi prestato a questa intervista e vi invito a scoprire “Andropoli” su Amazon!