C’è una categoria di villain nei videogiochi che lascia un’impronta indelebile: quelli affascinanti, freddi, intelligenti e completamente fuori di testa. Kristoph Gavin dovrebbe appartenere a questa categoria. E in parte, lo fa. È un villain che adoro già di base. Ma Ace Attorney gli mette i bastoni tra le ruote. Letteralmente, nel primo caso.
Kristoph è un personaggio pieno di potenziale narrativo: elegante, manipolatore, geniale, con una maschera perfetta e un abisso sotto. È il burattinaio dietro eventi cruciali della saga, eppure finisce trattato come un boss di metà livello, buttato fuori scena prima ancora che possiamo davvero affezionarci — o meglio, odiare nel modo giusto. Il problema? Un cattivo così va coltivato, non scaricato subito come la brutta copia di von Karma.
Ha un potenziale immenso, ma non è stato sfruttato a dovere. Vediamo perché.
Un assassino troppo presto
Iniziamo con il peccato originale: il primo caso di Apollo Justice. Caso fantastico, scrittura brillante, ritmo perfetto. Peccato che si giochi subito Kristoph. Lo vediamo, lo conosciamo, lo smascheriamo — tutto in un’ora. L’effetto shock c’è, ma manca il peso. Il volto pubblico di Kristoph, quello del mentore paziente, dell’avvocato impeccabile, non ha il tempo di sedimentare. Non fa in tempo a ingannarci davvero. È come se ci dicessero: “Guarda questo personaggio affascinante, carismatico, interessante… in realtà è un assassino! Sorpresa!”. Un vero spreco.
Un’alternativa: se quel primo caso fosse stato spostato più avanti, dopo aver passato più tempo con Kristoph, avremmo provato fiducia, magari affetto. Il tradimento avrebbe fatto male. Così com’è, è solo una sorpresa ben scritta che si dimentica troppo in fretta.
Apollo e i fantasmi del passato (che non si vedono mai)
Kristoph è il mentore di Apollo. Quello che dovrebbe essere il trauma fondativo del nuovo protagonista (quasi un parallelo oscuro di Mia). Ma l’impatto psicologico? È roba da headcanon. Apollo passa da “il mio mentore è un assassino psicopatico” a “devo trovare un altro studio legale per cui lavorare” nel tempo di un cross-examination. Neanche un accenno a un PTSD, un flashback, una crisi di fiducia vera. In Dual Destinies, Apollo ha problemi di fiducia verso Athena, e molti fan (io compreso) lo leggono come una conseguenza del tradimento di Kristoph. Bello, ma non confermato. E se dobbiamo scriverci da soli la caratterizzazione, c’è qualcosa che non va.
Una storyline con Apollo che lotta per distinguersi dal suo mentore, o che teme di non riuscire a fidarsi mai più, avrebbe dato spessore al personaggio e avrebbe reso Kristoph ancora più centrale nella narrativa della serie (al posto dei suoi trilioni di passati). Ma niente. Nessuno lo nomina più, nonostante la gravità delle sue azioni.
Klavier, il fratello che si fa andare bene tutto
Poi c’è Klavier. Suona in una rock band, è procuratore, è affabile e un po’ presuntuoso, ma non di cattive intenzioni. Peccato che il suo fratello maggiore sia un assassino che l’ha manipolato per anni. Reazione di Klavier? Un bel meh. Zero confronto, zero dramma. Non c’è un singolo momento in cui Klavier processa davvero ciò che è successo. Avrebbe potuto essere un conflitto devastante: il procuratore che deve mettere da parte l’affetto per cercare la verità. Un ragazzo che avrebbe dovuto incarcerare suo fratello e confrontarsi con il fatto che è stato sfruttato per distruggere la carriera di un altro uomo. Invece è tutto off-screen.
Prodigioso… sulla carta
Kristoph ci viene descritto come un avvocato brillante, raffinato, rispettato. Ma dov’è la prova? Dove lo vediamo in azione? Non ci è concesso. Ce lo dicono, e basta. Un’occasione mancata per mostrarci quanto sia davvero letale — non solo con le mani (e i veleni), ma con le parole. In un gioco che vive di dibattiti in tribunale, un villain come lui meritava uno scontro legale da manuale (magari un bel caso flashback con lui protagonista, in prima persona). Non una rissa retorica a metà gioco.
Il caso finale che non conta
L’ultimo caso di Apollo Justice ci chiede di dimostrare la colpevolezza di nuovo di Kristoph. Ma… è già in prigione. L’urgenza narrativa vacilla. Perché dovremmo rischiare tutto? La posta in gioco non è chiara. Bastava aggiungere un dettaglio: che Kristoph stava per essere rilasciato nonostante le accuse per l’omicidio di Smith, o che Phoenix doveva incastrarlo per dimostrare la propria innocenza riguardo le prove false. Invece ci troviamo a colpirlo mentre è già a terra. E anche se le sue ultime battute sono tra le più inquietanti della serie, il momento arriva in ritardo, e quasi fuori contesto.
Von Karma con la lacca
Infine, Kristoph rischia di sembrare un clone di von Karma: altro avvocato geniale, altro psicopatico, altro nemico dell’ordine giudiziario. Ma il suo movente è diverso, più intimo. Kristoph non agisce per rabbia o orgoglio ferito, ma per mantenere la propria facciata, per paura che il suo mondo perfetto venga sporcato. È paranoia, insicurezza, follia, ossessione per il controllo. Questo lo rende più interessante — o lo renderebbe, se solo il gioco lo esplorasse di più.
Kristoph Gavin è uno di quei personaggi che, se sfruttati meglio, sarebbero diventati iconici. Invece è un villain brillante, con molti fan, ma dimenticato, uno spettro narrativo che avrebbe potuto legare e definire più protagonisti, ma che scompare troppo presto, e con troppo poco. Un simbolo perfetto di come anche le idee migliori possano fallire se non ricevono il tempo e lo spazio che meritano.
Sotto quella cravatta perfettamente annodata c’era un pozzo di complessità. Peccato che Ace Attorney abbia scelto di chiudere il coperchio troppo presto.
Vi propongo una serie fanmade (già esaminata in questo articolo) dove il personaggio di Kristoph viene esplorato adeguatamente:



