Caso extra: la psichiatra assassino, il paziente autistico, l’avvocato depresso e la verità che non arriva mai in orario
C’è un momento nella carriera di ogni avvocato in cui, dopo aver fermato la deriva di una malattia che avrebbe ucciso tutti i criminali mondiali, si ritrova seduto in aula con un caffè stantio e una cliente vestita come un NPC uscito da un indie game su Steam. Benvenuti in “Chess Games”, il caso extra che nessuno aveva chiesto ma di cui, francamente, avevamo bisogno.
Attenzione: l’ho classificato come caso extra di FFT, in realtà è un caso perfettamente a cavallo tra due serie, FFT e ELTT (Eyes, Lies and Trusting Times), infatti Wolf (e Gumshoe) a parte, in questo caso tutti gli altri personaggi non appartengono a me (motivo per cui vedrete poche immagini, e li vedrete tutti segnati con l’asterico*).
Però si tratta lo stesso di un caso che è importante narrare per una vicenda che avrà luogo molto più in là, ovvero Lands of Shallowness.
Iniziamo. Sono passati mesi dalla vicenda di Lilith e dell’ML-1, e il nostro eroe (più o meno), Wolf Lonnie, accetta di difendere Cheryl*, psichiatra sulla trentina, occhiali viola, cappello al contrario, e lo charme disinvolto di chi ha letto troppi libri di psicologia e troppi pochi sulla moda. L’accusa? Omicidio. La vittima? Un ragazzo autistico di nome Filiberto*, già noto per essere stato manipolato da un giudice travestito da gestore di zoo (parliamo sempre di vicende di ELTT).
Si tratta di uno di quei casi che scrissi a più mani, e fu molto divertente da realizzare proprio per questo motivo. Naturalmente venne scritto alcuni anni dopo la fine di FFT, ma mi trovai molto bene a gestire la depressione crescente nel personaggio di Wolf.
Il paziente zero della disperazione
Filiberto non era un paziente qualsiasi. Era fragile, sensibile, ripetitivo (clinicamente parlando), e viveva in una realtà fatta di ecolalia e malinconia. Aveva già avuto il suo momento di gloria tragica quando, in un caso precedente, era stato spinto a uccidere qualcuno con un fucile da cecchino. No, davvero, avete letto bene. E ora? Vittima morta. Tempia destra. Colpo preciso. Pistola comune da guardia carceraria. Impronte sue. Niente telecamere funzionanti. Ma vuoi vedere che la psichiatra lo ha aiutato ad “uscire dal dolore” come si aiuta una pianta a morire d’inverno?
Eppure Cheryl sostiene il contrario. Si difende con aplomb, parlando di memoria selettiva, tecniche terapeutiche e nostalgia musicale. Wolf, inizialmente più interessato a lamentarsi della sua esistenza che a studiare il caso, inizia a intravedere qualcosa. No, non la luce in fondo al tunnel — quella è fuori budget. Ma un sospetto. Un’idea. Un dettaglio. Magari, per una volta, non si tratta solo di trovare il colpevole, ma di capire se l’innocenza… ha un prezzo.
Un processo con pochi colpi di scena… e una pistola di troppo
Il tribunale si anima (si fa per dire) con l’arrivo del procuratore Orson*, l’unico personaggio sobrio. Espone il caso con calma. La psichiatra era lì. L’ultimo a vederlo vivo. Dopo il colloquio: boom. Ma qualcosa non torna.
Il detective chiamato a testimoniare è il solito Gumshoe. Tra una battuta e una mezza verità, salta fuori che sì, Tenzini aveva le impronte sulla pistola. Ma nessun segno di coercizione. Nessuna impronta della dottoressa. E una scena del crimine quasi troppo… pulita.
Wolf allora si lancia nel suo momento di gloria: smonta tutta la tesi dell’accusa partendo da un concetto semplice e devastante. Tenzini non avrebbe mai potuto stare fermo mentre veniva ucciso. Perché un ragazzo come lui, fragile ma visivamente legato alla dottoressa, avrebbe fatto di tutto per guardarla in volto. E quindi? La traiettoria è troppo perfetta. La posizione troppo netta. Il tutto, troppo “inscenato”.
Orson non riesce a controbattere e un Wolf, che è cresciuto molto più di quanto lui stesso creda, vince con una facilità assurda. Infatti il giudice ascolta, riflette e assolve. Cheryl è libera. Caso chiuso. Tutti a casa. Ma…
Il colpo di scena finale – Dietro il violetto degli occhiali
…Ma questa non è la solita storia. Perché Chess Games ha la cattiveria narrativa di un autore che non vuole che tu dorma tranquillo la notte. Dopo la chiusura del caso, il lettore viene portato dietro le quinte. POV: Cheryl.
Non l’ha ucciso direttamente, no. Sarebbe stato troppo rozzo. Ma l’ha guidato, parola per parola, verso l’idea che la morte fosse la soluzione migliore. Ha evocato la solitudine. La sorella lontana. Il dolore. Il mostro sotto il letto. E poi ha posato la pistola sul tavolo, come se niente fosse. Nessuna minaccia. Solo suggestione. Manipolazione fatta e finita, con una voce calma e compassionevole.
“Perfetto”, dice, mentre Filiberto fa ciò che lei gli ha suggerito, senza mai dirlo esplicitamente.
Scacco matto, verrebbe da dire. Ma non è il re ad essere caduto. È la verità.
Epilogo – Confessioni, sorelle e sedute a pagamento
Come se non bastasse, il giorno dopo, Wolf si presenta nello studio della dottoressa per una seduta. Sì, la vuole pagare con lo sconto “cliente salvato in aula”. Ma in realtà cerca qualcosa di più: vuole risposte, che chiede immediatamente alla dottoressa perché non è convinto per niente della sua innocenza pur avendola scagionata. Ma lì per lì non è nemmeno troppo interessato a insistere (lei ovviamente ribadisce la sua innocenza, anche se non convince per niente Wolf).
Quindi Wolf inizia a parlare dei suoi problemi, che gli premono molto di più.
Sospetta che Salinne — figura ricorrente e minacciosa della sua vita, come ben sappiamo — sia in realtà sua sorella scomparsa.
Le chiede come dovrebbe comportarsi se fosse lei, cosa dovrebbe pensare, perché non lo sa nemmeno lui.
Poi le chiede di Lilith. Le racconta la sua delusione, il fatto di sentire un legame spezzato con lei, e il non sapere come fare per gestirla.
Nel frattempo sta anche portando una frequentazione priva d’interesse reale con Mila, e anche in questo caso non sa nemmeno lui cosa sta facendo e perché.
Cheryl prova ad ascoltarlo, a dargli suggerimenti, ma è come lanciare sassi in un pozzo.
Vede che Wolf è fratturato, che forse ha iniziato troppo tardi un percorso psicologico, e ha fin troppi problemi e conflitti irrisolti.
Anche se capisce e gli ribadisce che Wolf si sta fratturando proprio per aiutare gli altri. E questo continuerà a fare.
Il caso è chiuso, ma il gioco continua
Come avrete capito, si tratta di un capitolo semi-filler (quello che al tempo classificai come “Unsung”, ossia quei casi scritti tanto per), ma in realtà si tratta di una vicenda abbastanza importante perché:
- Mostra più approfonditamente il senso di un Wolf ormai perso, depresso, smarrito, svuotato e confuso.
- Introduce Cheryl come villain per il futuro.
- E soprattutto, prepara il terreno e il mood per il caso finale, “Desiderio d’amore“.
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