Tra libri antichi, omicidi e misteri ft. Andrea Tessaro

Intervista ad Andrea Tessaro

Le biblioteche piene di testi antichi hanno un fascino innegabile. I tomi custoditi al loro interno nascondono conoscenze perdute, storie sui quali pochi occhi si sono posati e, talvolta, enigmi che solo chi possiede la giusta chiave di interpretazione può decodificare. Si tratta dell’ambientazione perfetta per un libro ricco di misteri da svelare, soprattutto quando c’è pure un assassino a piede libero, come dimostrato svariati anni fa dall’opera di Umberto Eco con la sua opera “Il nome della rosa”. Nel libro “La Confraternita della Torre Nera” di Andrea Tessaro, edito da PAV Edizioni, si respira un’atmosfera in parte simile a quella del capolavoro del maestro, unita però con una componente fantasy (leggera ma comunque presente) che rende l’esperienza di lettura ben diversa.

Per conoscere meglio l’opera in questione e capire che legame ha con “Cronache del postumano”, l’ultima fatica letteraria di Andrea Tessaro, oggi farò qualche domanda al suo autore.

Ciao Andrea e benvenuto su Pillole di Folklore & Scrittura! Direi di iniziare parlando un pochino di terminologia. “La Confraternita della Torre Nera” può essere classificato come bibliomystery. Puoi spiegarci un po’ meglio questa etichetta?

“Bibliomystery” non è un genere letterario nuovo, ma un’etichetta applicata a opere scritte in epoche diverse. La parola è un ibrido linguistico, uno di quei neologismi che – nel bene o nel male – stanno entrando nella nostra lingua. Il prefisso “biblio” viene dal greco e significa “libro”, mentre “mystery” è la parola inglese che corrisponde, grosso modo, al nostro “giallo”.
Un bibliomystery, quindi, è un’opera narrativa che ha al centro uno o più libri –
preferibilmente rari o antichi – con biblioteche e archivi come ambientazione privilegiata e bibliotecari, archivisti o librai tra i personaggi. Esempi classici? “Il nome della rosa” e “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco, “Il club Dumas” di Arturo Pérez–Reverte. “La Confraternita della Torre Nera” appartiene a pieno titolo a questa categoria. La Biblioteca della Scuola Grande di Hjartun è il punto da cui si dipana il mistero: l’effrazione, i libri bruciati, quel disegno inquietante sulla parete… tutto parte da lì. E quando i protagonisti cercheranno le chiavi per decifrare gli omicidi, sarà ancora tra vecchi documenti e diari cifrati che troveranno le risposte.

La ricerca della verità è uno dei temi centrali del libro. Il lettore può affidarsi ai
personaggi per ricomporre il puzzle o deve fare un po’ di ragionamenti da solo per spingersi più lontano di loro?

Hai toccato un punto nevralgico: la ricerca della verità attraversa tutte le mie opere. Come in “Cronache dal postumano”, sempre edito da PAV, dove ho costruito una raccolta di racconti fantascientifici strutturati proprio come indagini. È l’esigenza di dare ordine al caos, anche se con alcune precisazioni fondamentali. Cercare la verità, nelle mie storie, non significa semplicemente rispondere al classico “chi è stato?” (whodunit?). Ogni verità raggiunta genera nuovi interrogativi, e il quadro finale non è mai del tutto rassicurante: o la verità si presenta lacunosa – non tutto viene spiegato – oppure emergono
interpretazioni diverse degli stessi fatti, tutte ugualmente plausibili. Un po’ come nel Rashōmon di Akira Kurosawa.

La copertina di “La Confraternita della Torre Nera”


Ne “La Confraternita della Torre Nera” questa ricerca spinge i sette protagonisti non solo a identificare l’assassino (ho disseminato indizi, ma serve un lettore davvero acuto per anticipare il finale), ma anche a ricostruire il passato dei loro maestri, quindi la storia della propria identità culturale. Questo è funzionale a una narrazione in cui l’approdo alla saggezza è insieme scopo e
destino dei protagonisti.
Questa tendenza a colorare di giallo ogni mia storia viene – paradossalmente – dalla lettura dei classici. In particolare dall’Edipo Re di Sofocle, che per me funziona come il primo mystery della letteratura occidentale: un’indagine che porta a una verità devastante. A quell’opera mi sono ispirato per il mio secondo romanzo, “La valle dai sassi che ridono”.
Quanto ad affidarsi ai personaggi: non è mai una buona strategia. Già nel giallo classico – Agatha Christie insegna – personaggi e lettori subiscono continui e deliberati depistaggi. Si racconta che la regina del giallo scrivesse una prima bozza dei suoi romanzi per poi scegliere come colpevole il personaggio statisticamente meno sospettabile. Leggenda o realtà? Non importa: il principio resta valido.

Quanto è preponderante l’elemento fantasy nel romanzo?

Fin dal mio esordio letterario nel 2020 con “Sette apprendisti per la Torre di ghiaccio” – di cui “La Confraternita della Torre Nera” è il seguito non dichiarato – mi sono imposto di piegare il genere alle mie esigenze espressive. Fantasy, sì, ma solo per l’ambientazione spazio–temporale di pura invenzione. Per tutto il resto, realismo assoluto.

Da qui alcune scelte precise: niente creature fantastiche, nessuna scena esplicita di magia (che pure ritorna ne “La Confraternita della Torre Nera”, ma con il contagocce). E la necessità di curare il worldbuilding nei minimi dettagli: per questo romanzo ho disegnato personalmente le piante di interi palazzi, riportando nel libro le stanze e i corridoi dove avvengono i delitti. Una
scelta anche funzionale all’orchestrazione di una trama complessa, con diversi omicidi “impossibili” e almeno una scena che strizza l’occhio alla tradizione della camera chiusa.
In generale, non mi considero un autore fantasy. Sono un autore, punto. Il mio secondo romanzo è un thriller ambientato in luoghi reali, le opere successive a “La Confraternita della Torre Nera” abbracciano fantascienza, horror, registro umoristico, dramma familiare. Mi piace pensare ai generi come ad abiti che si indossano per determinate occasioni: sotto, la storia – e la voce che la
racconta – rimane sempre la stessa.

Ci sono dei legami tra “La Confraternita della Torre Nera” e “Cronache dal
postumano”, il tuo nuovo libro?

Sembrerebbe improbabile trovare punti di contatto tra opere così diverse: un
fantasy–mystery di quasi 500 pagine e una raccolta di cinque racconti fantascientifici. Eppure il legame c’è, ed è più profondo di quanto sembri.
Oltre all’elemento investigativo che caratterizza entrambe le opere, esiste un filo rosso sotterraneo.

Una foto di Andrea Tessaro

“La Confraternita della Torre Nera” ha avuto la sua prima stesura nei mesi del
lockdown, tra marzo e luglio 2020. All’epoca ChatGPT non esisteva ancora – sarebbe arrivato solo nel novembre 2022. Già allora, però, immaginavo delle sfere non propriamente magiche, ma frutto di qualche misteriosa tecnologia, capaci di rispondere a qualsiasi domanda e persino di predire il futuro. Come funzionavano? Attraverso una forma di “addestramento”, una programmazione basata su tutte le conoscenze acquisibili in quel momento. In certi passi del romanzo vengono chiamate esplicitamente “intelligenze”.
Non sono quindi la classica sfera di cristallo delle fattucchiere, ma un tentativo di dare forma narrativa a un’ossessione che mi accompagnava da tempo. Cosa succederebbe se esistesse un’intelligenza capace di rispondere a tutto? Quando poi è arrivato ChatGPT, ho avuto quella strana sensazione di aver anticipato qualcosa, anche se so che suona troppo perfetto per essere credibile.
Era già la stessa riflessione dei successivi racconti fantascientifici, ma filtrata attraverso una mia personale rivisitazione del mito di Faust: la conoscenza totale, il prezzo da pagare per ottenerla, il confine tra saggezza e hybris.

A cosa ti sei ispirato durante la scrittura?

È una di quelle domande che sembra semplice ma nasconde una complessità. Non c’è un’unica fonte d’ispirazione, ma piuttosto una stratificazione di riferimenti.
I modelli letterari più evidenti sono il romanzo storico – con i suoi diari e documenti –, il giallo storico come il già citato “Il nome della rosa”, e il giallo classico, in particolare Carter Dickson e la sua ossessione per gli enigmi impossibili. Meno, invece, le opere fantasy propriamente dette.
Ma quando scrivo, pur senza rifarmi pedissequamente a modelli precisi, mi ritrovo spesso a citare o riscrivere scene e archetipi. Alla lista andrebbe aggiunto il mito moderno di Faust, come dicevo prima. E i wuxia, di cui sono appassionato: alcune scene d’azione sono state revisionate con l’aiuto di un’esperta di arti marziali proprio per rispettare quella poetica del combattimento.
Un altro archetipo fondamentale è quello dell’assedio, che risale all’Iliade: i sette sono continuamente circondati da forze ostili. Non solo l’assassino è qualcuno che conoscono, ma l’ambiguità permea ogni personaggio con cui interagiscono. Per rendere esplicito questo tema – che ha avuto importanti rivisitazioni cinematografiche, penso a John Carpenter, autore che amo particolarmente – ho introdotto addirittura due eserciti che mettono sotto assedio Hjartun: uno entra fisicamente in città creando una situazione di stallo, l’altro si avvicina verso il finale preparando il terreno per la battaglia conclusiva.
L’assedio, però, non è solo militare: è psicologico, epistemologico. A chi credere? Quale verità è affidabile? Questo stato di assedio permanente diventa la condizione esistenziale dei protagonisti.

A chi consiglieresti la lettura di “La Confraternita della Torre Nera” e di “Cronache del postumano”?

Potrei rispondere in modo ovvio: “La Confraternita” agli amanti del fantasy e del mystery, “Cronache” a chi preferisce la fantascienza. Ma sarebbe riduttivo.
Entrambi i libri sono pensati per lettori che non si accontentano. Lettori che apprezzano quando una storia ti costringe a ragionare, a mettere insieme i pezzi, a dubitare di ciò che sembrava
certo. Se ti piace Umberto Eco – il suo modo di intrecciare erudizione, mistero e riflessione filosofica – il mio lavoro dialoga con quella tradizione, anche se in altri generi.
“La Confraternita della Torre Nera” è per chi ama i romanzi che non regalano nulla: devi conquistarti ogni rivelazione, ogni verità. È un libro che richiede attenzione ai dettagli – le piante dei palazzi non sono decorazioni, sono indizi. È per chi apprezza la complessità narrativa: sette protagonisti con pari dignità narrativa, intrecci che si rivelano solo alla fine, un’ambiguità morale che pervade ogni personaggio.
“Cronache dal postumano” si rivolge invece a chi vuole essere provocato intellettualmente.
Ogni racconto è un esperimento mentale: cosa succede quando un’IA decide cosa è meglio per l’umanità? Quando la coscienza diventa replicabile? Quando la realtà stessa è manipolabile? Sono storie che funzionano come thriller – c’è sempre un’indagine, un mistero da risolvere – ma che lasciano domande che continuano a ronzare nella testa anche dopo aver chiuso il libro.
Direi che entrambi sono per lettori curiosi, disposti ad accettare la sfida. Non cerco di compiacere: cerco di coinvolgere, stimolare, a volte anche disturbare. Se questo ti attrae, allora questi libri sono per te. Indipendentemente dal fatto che il fantasy o la fantascienza siano “il tuo genere”.

Se dovessi menzionare tre libri con degli elementi in comune con la tua opera, quali sceglieresti?

Da un lato vorrei dire “non assomiglia a nulla”, dall’altro so che non esiste libro nato dal nulla. Ma provo a indicare tre opere che condividono con “La Confraternita della Torre Nera” almeno alcuni elementi strutturali o tematici.
Il primo, inevitabile, è “Il nome della rosa” di Umberto Eco. Non solo per l’elemento del bibliomystery – la biblioteca come luogo del delitto e del mistero – ma soprattutto per l’idea che la ricerca della verità passi attraverso libri proibiti, conoscenze nascoste, e che ogni soluzione generi
nuove domande. Come Guglielmo da Baskerville, i miei sette protagonisti devono decifrare documenti, ricostruire il passato, scoprire che i loro maestri non erano chi credevano.
Il secondo è “I dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Qui il parallelo è nella struttura: un gruppo isolato, vittime che cadono una dopo l’altra, l’assassino che è uno di loro (o qualcuno che conoscono bene). L’atmosfera di assedio psicologico, la paranoia crescente, il fatto che nessuno possa essere considerato al di sopra di ogni sospetto. Christie costruisce un meccanismo perfetto, e
io ho cercato di fare qualcosa di simile, anche se in un’ambientazione completamente diversa.
Il terzo è più inaspettato: “La compagnia dell’anello” di Tolkien, ma non per i motivi che si potrebbero pensare. Non per gli elementi fantasy – che nel mio romanzo sono ridotti al minimo – ma per la struttura corale. Tolkien riesce a dare dignità narrativa a ogni membro della Compagnia, ciascuno con il proprio arco di sviluppo. Era la sfida che mi ero posto: sette protagonisti, nessuno
dei quali semplice comparsa. Ognuno con le proprie ragioni, i propri segreti, il proprio peso nella storia.
Tre libri diversissimi tra loro, lo so. Ma forse proprio questo dice qualcosa su cosa ho cercato di fare: un ibrido, un incrocio tra tradizioni narrative differenti. Un esperimento che, spero, abbia una sua identità riconoscibile.

Stai lavorando a qualche nuova storia in questo periodo?

Ho già completato due romanzi di generi diversi, attualmente in viaggio attraverso i circuiti dei concorsi letterari. Parallelamente sto lavorando a una nuova raccolta di racconti con elementi fantascientifici e metanarrativi.
Prima o poi tornerò al fantasy: ho alcuni concept che aspettano solo il momento giusto per trasformarsi in progetti. Uno di questi è la continuazione de “La Confraternita della Torre Nera”.
Nel frattempo, però, ho scelto di orientarmi verso la forma breve – racconto o romanzo breve. È una decisione in parte pratica (la famiglia viene prima di tutto), ma soprattutto estetica. La forma breve impone una disciplina diversa: ogni parola deve guadagnarsi il suo posto, la struttura dev’essere cristallina. Dopo aver esplorato la complessità del romanzo fantasy esteso – la mia serie
presenta sette protagonisti, tutti protagonisti veri, non comprimari travestiti, per oltre mille pagine complessive – sento il bisogno di confrontarmi con una diversa sfida narrativa.
Non è un ripiegamento, è un’evoluzione. Ogni forma ha le sue esigenze e le sue possibilità espressive. E in fondo, non è la lunghezza a fare la letteratura.

Grazie per il tempo che ci hai concesso, Andrea! Potete trovare “La Confraternita della Torre Nera” su Amazon e sul sito di PAV Edizioni. Lo stesso vale per “Cronache dal postumano” (AmazonSito PAV Edizioni).

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Autore: Alessandro Bolzani

Mi chiamo Alessandro e, oltre a essere un giornalista, sono l’autore del libro urban fantasy Cronache dei Mondi Connessi – I difensori del parco, edito da PAV Edizioni. Nel 2023 ho vinto il concorso Sogni di Fantasy 2 con il racconto Sylenelle, ladra di sogni. Collaboro anche con la rivista Weirdbreed, per la quale ho realizzato il racconto La carne più buona del mondo, alcuni articoli e delle interviste. Nel mio blog, Pillole di Folklore e Scrittura, parlo di libri, scrittura creativa, mitologia, credenze popolari e, in generale, di tutto ciò che mi appassiona.

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