Turnabout Succession di Apollo Justice – Uno studio dei finali insoddisfacenti e come evitarli

C’è qualcosa di peggio di un gioco brutto? Sì: un gioco che parte bene, promette il mondo e poi si spegne come una candela in un acquazzone. Benvenuti nel mondo di Apollo Justice: Ace Attorney, capitolo che avrebbe dovuto inaugurare una nuova era, ma che finisce per perdersi come un testimone chiave nel buio di un’interrogazione mal gestita.

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Da casalinga a sadica: come flanderizzare un personaggio fino a distruggerlo – Il caso di Lois Griffin

C’è un’arte sottile nel costruire un personaggio complesso. E poi c’è Family Guy, che ha deciso di prendere un personaggio come Lois Griffin e buttarla in un frullatore narrativo, premendo il tasto “MAXIMUM STEREOTYPE” senza pensarci due volte.

Lois Griffin è l’esempio perfetto di come un personaggio inizialmente normale – anzi, vagamente interessante nel suo ruolo di madre amorevole e moralmente solida, in contrapposizione con Peter – possa diventare una caricatura grottesca di se stesso. E non stiamo parlando di evoluzione del personaggio. No, qui parliamo di flanderizzazione pura.

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Dietro la cravatta, il vuoto: non sfruttare appieno il potenziale dei villain – il caso di Kristoph Gavin

C’è una categoria di villain nei videogiochi che lascia un’impronta indelebile: quelli affascinanti, freddi, intelligenti e completamente fuori di testa. Kristoph Gavin dovrebbe appartenere a questa categoria. E in parte, lo fa. È un villain che adoro già di base. Ma Ace Attorney gli mette i bastoni tra le ruote. Letteralmente, nel primo caso.

Kristoph è un personaggio pieno di potenziale narrativo: elegante, manipolatore, geniale, con una maschera perfetta e un abisso sotto. È il burattinaio dietro eventi cruciali della saga, eppure finisce trattato come un boss di metà livello, buttato fuori scena prima ancora che possiamo davvero affezionarci — o meglio, odiare nel modo giusto. Il problema? Un cattivo così va coltivato, non scaricato subito come la brutta copia di von Karma.

Ha un potenziale immenso, ma non è stato sfruttato a dovere. Vediamo perché.

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Il fantasma nella macchina narrativa – Il caso di W. D. Gaster

Nel mondo della narrativa, esistono personaggi che entrano in scena con fanfare, luci, effetti speciali e monologhi infiniti. E poi ci sono loro: i fantasmi. Non nel senso paranormale, ma nel senso più subdolo, inquietante e affascinante possibile. Parliamo di quei personaggi che non appaiono mai, di cui si parla appena sussurrando, e che proprio per questo finiscono per diventare le figure più iconiche dell’intera opera.

Un esempio perfetto? W. D. Gaster, direttamente da Undertale, il capolavoro indie che ha riscritto le regole dei giochi di ruolo con un motore grafico fermo al 1994 e una scrittura più tagliente di un coltello da cucina giapponese.

Gaster non compare mai — o meglio, compare solo in condizioni estremamente rare, tramite glitch, NPC dimenticati in angoli remoti o stanze che sembrano costruite apposta per farti domandare se hai davvero visto quello che hai visto. Eppure, è ovunque. È nel codice, è nella lore, è nelle teorie. È Schrödinger in pixel art.

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Quando i videogiochi sapevano raccontare la verità: Abe, il lavoratore schiavo in un mondo capitalistico

Ricordate Abe? Sì, quel buffo alieno blu con la bocca cucita e il passo da impiegato del catasto dopo 12 ore di straordinario non pagato. Oddworld: Abe’s Oddysee (1997) era questo: un gioco platform dove il protagonista non doveva salvare la principessa o collezionare monete, ma scappare da una macelleria industriale dove lui e i suoi simili venivano letteralmente trasformati in snack.

Un concept così oggi farebbe tremare i reparti marketing: “Troppo cupo!”, “Non è family friendly!”, “Ma i bambini come lo prendono?”. Già, perché se c’è una cosa che i videogiochi moderni hanno smesso di fare, è trattare il giocatore come un adulto pensante.

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Antonella Aversente: Una Coriglianese al Salone Internazionale del Libro di Torino

Quest’anno, il Salone Internazionale del Libro di Torino accoglie una nuova voce nel panorama letterario italiano: Antonella Aversente. Nota blogger calabrese, Antonella si presenta per la prima volta come scrittrice con il suo debutto letterario, Revence, un romanzo che affascina e coinvolge i lettori con la sua trama intrigante e i suoi temi profondi. Originaria di Corigliano Rossano, Antonella ha sempre nutrito una grande passione per la scrittura. Con Revence, debutta nel mondo della narrativa con una storia che esplora temi universali come l’amore, la solitudine e la ricerca di sé stessi. La protagonista, Alice, una ragazza di sedici anni, si trasferisce con la sua famiglia in una nuova casa, dove inizia a vivere esperienze misteriose legate ai suoi sogni.

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La trama che non c’era (o forse sì): il genio della scrittura “per omissione” di Five Nights at Freddy’s

Quando Five Nights at Freddy’s uscì nel 2014, sembrava solo l’ennesimo indie horror con jumpscare a buon mercato. Animatronics inquietanti, luci che si spengono da sole, rumori strani in corridoio… tutto nella norma. Ma poi i fan hanno iniziato a scavare. E scavando, hanno trovato qualcosa. O meglio: hanno iniziato a sospettare che forse ci fosse qualcosa da trovare.

Perché sì, FNAF non ha mai raccontato una trama nel senso tradizionale del termine. Nessun filmato introduttivo epico, nessuna voce narrante a spiegare cosa diamine stia succedendo. Al suo posto, un tizio che deve sbarcare il lunario, registrazioni vagamente minacciose, disegni infantili appesi alle pareti e minigiochi 8-bit con coniglietti che fanno cose strane. Un puzzle sparpagliato, fatto di pixel e paranoia.

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Power creep e altri crimini narrativi: perché i personaggi meritano di più

Nel mondo della narrativa seriale, c’è una malattia silenziosa che colpisce anche le migliori saghe: si chiama power creep. È subdola, è letale, e ha fatto più vittime di Freezer al raduno annuale dei Namecciani. Non parliamo solo di personaggi: parliamo di rilevanza narrativa, di equilibri distrutti e di protagonisti che diventano semidei mentre i loro amici… beh, restano a casa a guardare.

Chiariamolo subito: il power creep è quel fenomeno per cui i personaggi devono diventare sempre più forti per restare interessanti. Ma a che prezzo? A quello di lasciare indietro personaggi adorati, relegati al ruolo di cheerleader con le braccia incrociate. Krillin, Yamcha, Tien, Sakura… se state leggendo questo, vi vediamo e vi vogliamo bene.

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Come reinventare un universo narrativo già concluso tramite un nuovo personaggio: il caso di Beerus

Pensavamo fosse finita. Goku aveva raggiunto il Super Saiyan di livello 3, sconfitto Majin Buu, riportato la pace nell’universo e, tutto sommato, anche imparato a fare il padre. I fan erano sazi (forse), i villain sconfitti, e Akira Toriyama pareva pronto a ritirare penna e pennello. Poi, dal nulla cosmico, arriva lui: un gatto viola con la pancia gonfia, l’umore instabile e il potere di vaporizzare pianeti con uno starnuto.

Beerus.

Sì, proprio Beerus: il Dio della Distruzione, introdotto decenni dopo che l’universo di Dragon Ball sembrava avere esaurito ogni carta. Eppure, anziché sentirsi come un’aggiunta forzata o fuori luogo, Beerus riesce a inserirsi perfettamente nella mitologia della saga, spalancando porte che nemmeno sapevamo esistessero. Come ha fatto Toriyama a compiere questa magia narrativa? Scopriamolo.

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Come scrivere un villain megalomane, irresistibile e inarrestabile: il caso del dottor Eggman

Nell’universo narrativo, poche figure risplendono con la stessa assurda, esagerata e affascinante brillantezza del villain egomaniaco. Tra questi, il Dottor Ivo “Eggman” Robotnik è uno degli esempi più lampanti e duraturi: genio del male, costruttore di robot dalla dubbia efficienza ma dallo stile inconfondibile, eterno rivale di Sonic the Hedgehog. Dietro la sua buffa silhouette e i suoi baffoni inconfondibili, si cela uno dei villain più emblematici della narrativa videoludica. Ma perché funziona così bene? E soprattutto: come si scrive un villain come lui?

In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande esplorando cosa rende il villain egomaniaco credibile, divertente e narrativamente potente. Concluderemo analizzando il caso esemplare del dottor Eggman, un personaggio che, nonostante mille sconfitte, riesce sempre a rientrare in scena, fedele alle sue folli convinzioni.

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