Come reinventare un universo narrativo già concluso tramite un nuovo personaggio: il caso di Beerus

Pensavamo fosse finita. Goku aveva raggiunto il Super Saiyan di livello 3, sconfitto Majin Buu, riportato la pace nell’universo e, tutto sommato, anche imparato a fare il padre. I fan erano sazi (forse), i villain sconfitti, e Akira Toriyama pareva pronto a ritirare penna e pennello. Poi, dal nulla cosmico, arriva lui: un gatto viola con la pancia gonfia, l’umore instabile e il potere di vaporizzare pianeti con uno starnuto.

Beerus.

Sì, proprio Beerus: il Dio della Distruzione, introdotto decenni dopo che l’universo di Dragon Ball sembrava avere esaurito ogni carta. Eppure, anziché sentirsi come un’aggiunta forzata o fuori luogo, Beerus riesce a inserirsi perfettamente nella mitologia della saga, spalancando porte che nemmeno sapevamo esistessero. Come ha fatto Toriyama a compiere questa magia narrativa? Scopriamolo.

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Come scrivere un villain megalomane, irresistibile e inarrestabile: il caso del dottor Eggman

Nell’universo narrativo, poche figure risplendono con la stessa assurda, esagerata e affascinante brillantezza del villain egomaniaco. Tra questi, il Dottor Ivo “Eggman” Robotnik è uno degli esempi più lampanti e duraturi: genio del male, costruttore di robot dalla dubbia efficienza ma dallo stile inconfondibile, eterno rivale di Sonic the Hedgehog. Dietro la sua buffa silhouette e i suoi baffoni inconfondibili, si cela uno dei villain più emblematici della narrativa videoludica. Ma perché funziona così bene? E soprattutto: come si scrive un villain come lui?

In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande esplorando cosa rende il villain egomaniaco credibile, divertente e narrativamente potente. Concluderemo analizzando il caso esemplare del dottor Eggman, un personaggio che, nonostante mille sconfitte, riesce sempre a rientrare in scena, fedele alle sue folli convinzioni.

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Empatia e colpa: il thriller morale, il caso di Acro e Ini Miney

Nel mondo del thriller giudiziario, pochi elementi sono così affascinanti e narrativamente complessi come il colpevole simpatetico. Non basta che l’assassino sia “comprensibile”: dev’essere umano. Deve incarnare un conflitto morale che il pubblico può non solo comprendere, ma anche sentire. È questa la chiave che rende la serie Ace Attorney particolarmente memorabile: in molti dei suoi casi, l’enigma giudiziario si fonde con un ritratto tragico dell’animo umano.

Tra i tanti imputati ambigui che popolano la saga, due in particolare si prestano a un confronto illuminante: Ken Dingling, alias Acro, e Ini (Mimi) Miney. Apparentemente, Acro è il più “simpatico” dei due: ha perso tutto, ha subito un trauma devastante e vive con il peso del proprio errore, dopo aver tentato la vendetta. Ini, invece, appare fredda, manipolatrice, e arriva persino a incastrare un’innocente cara a Phoenix (Maya). Ma a un’analisi più profonda, la verità narrativa si ribalta.

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Come i personaggi secondari contrapposti rafforzano la narrazione – Il caso di Rhoda Teneiro e Cammy Meele

Nel mondo della scrittura narrativa, uno degli strumenti più affascinanti e potenti è l’utilizzo di personaggi secondari contrapposti per arricchire la trama e riflettere le tematiche centrali. Un esempio brillante si trova in Ace Attorney Investigations, dove Rhoda Teneiro e Cammy Meele rappresentano due lati opposti della stessa medaglia: due assistenti di volo, apparentemente simili per ruolo, ma profondamente diverse nella loro caratterizzazione e funzione narrativa.

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Natura vs cultura nei villain – il caso di Dahlia Hawthorne

Nella narrativa, i villain più memorabili non nascono mai per caso. Sono il risultato di un equilibrio instabile tra predisposizione naturale e influenze culturali. Analizzare questo binomio è fondamentale per comprendere come creare antagonisti credibili e sfaccettati. Uno degli esempi più riusciti è Dahlia Hawthorne nella saga di Ace Attorney, un personaggio che incarna perfettamente la fusione tra un’indole malvagia e un ambiente familiare tossico.

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Il villain subdolo, machiavellico e viscido: il caso di Damon Gant

Nel mondo della narrativa, pochi antagonisti riescono a lasciare il segno come quelli che incarnano la manipolazione, il potere e l’abuso di autorità.

Damon Gant, il corrotto e viscido capo della polizia di Phoenix Wright: Ace Attorney, è l’esempio perfetto di questa figura inquietante e carismatica, un uomo che ha trasformato il suo ruolo da tutore della legge in quello di burattinaio delle vite altrui. Ma perché personaggi come lui funzionano così bene? E come possiamo costruire un villain altrettanto memorabile e subdolo?

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Il potere narrativo di restare bloccati con il villain, il caso di Matt Engarde

In molte storie, il villain è un ostacolo da battere, un nemico da fermare, una presenza incombente, come un muro. Eppure, una tecnica narrativa particolarmente potente e interessante sovverte questa dinamica, costringendo il protagonista – e, di conseguenza, il pubblico – a convivere con il male, a essere intrappolato in una relazione involontaria con l’antagonista.

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“Perché lo fai?” – L’importanza della chiarezza nelle motivazioni dei personaggi

Nel grande circo della narrativa, i personaggi si muovono spinti da motivazioni che vanno dal cristallino al “ma che diamine ti passa per la testa?”. Alcuni vogliono vendetta, altri cercano l’amore, altri ancora vogliono solo un panino e un po’ di pace (e francamente, posso relazionarmi di più con quest’ultimi). Ma quando una motivazione funziona? Quando, invece, ci troviamo a sbuffare per il continuo tira e molla emotivo di un protagonista? Scendiamo in questo abisso narrativo con qualche esempio degno di nota.

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Spalle atipiche nella scrittura creativa: il caso di Jesse Pinkman

Nel mondo della scrittura creativa, le “spalle” sono spesso relegate a un ruolo secondario e prevedibile: supportano il protagonista, lo fanno risaltare, forniscono comic relief o sono semplicemente strumenti narrativi per far avanzare la trama. Ma cosa succede quando una spalla non segue queste regole? Quando non si limita a fare da supporto, ma evolve, si ribella e prende decisioni autonome che complicano la storia? Un esempio perfetto di spalla atipica è Jesse Pinkman di Breaking Bad.

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Come creare personaggi extra-canon di successo – il caso dell’agente Stone nei film Sonic the Hedgehog

Nel mondo delle grandi saghe, l’introduzione di personaggi “extra-canon” – ovvero personaggi non presenti nella continuity originale ma introdotti in nuove iterazioni come film, serie o spin-off – rappresenta sempre una sfida delicata. Questi personaggi devono integrarsi armoniosamente nell’universo narrativo esistente, senza snaturarne le dinamiche o risultare forzati. Uno degli esempi più riusciti di questo tipo di scrittura è l’agente Stone, introdotto nella serie cinematografica di Sonic the Hedgehog (recensione dei primi tre film qui: 1, 2, 3).

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