L’elleboro tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #82

Come altri fiori potenzialmente velenosi, anche l’elleboro, nelle dosi giuste, può essere usato in medicina per guarire alcuni stati alterati.

Nella mitologia greca, un guaritore di nome Melampo riuscì a curare dalla follia le figlie di Preto, il re di Tirinto, mescolando l’elleboro all’acqua della fonte dalla quale si abbeveravano. Nel corso dei secoli, anche grazie a questa leggenda, la pianta divenne famosa come rimedio per le malattie mentali.

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L’iris tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #81

Secondo una leggenda, Luigi VII scelse di rendere l’iris l’emblema del suo regno dopo averlo visto in un campo in seguito a una battaglia vittoriosa. Pertanto fu chiamato “fleur-de-Louis”, ma a causa della somiglianza con il fiore del giglio “fleur-de-lys” si creò una certa confusione e alla fine fu quest’ultimo a essere usato, nel Medioevo, come simbolo della monarchia francese.

Nella mitologia greca, Iris era il nome della messaggera degli dei. Proprio come Ermes, anche lei accompagnava le anime dei defunti nell’oltretomba, però si occupava solo delle donne. Fu lei a sciogliere l’anima di Didone morente e a scortare la prima regina di Cartagine nell’Ade. Iris era anche la personificazione dell’arcobaleno, che portava il suo nome.

In base alla variante, l’iris può avere dei significati diversi nel linguaggio dei fiori: fatalità (iris di faraone), amore desolato (fimbriata), buona notizia (pratense), incendio amoroso (tedesca), desolazione (tuberosa).

La protea tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #80

La protea è un fiore che rappresenta il cambiamento, l’originalità, il coraggio, la forza e la perseveranza. Il suo nome deriva da Proteo, il dio greco contraddistinto dalla capacità di cambiare forma a piacimento. Proprio come la divinità, anche il fiore subisce delle metamorfosi nel corso del suo ciclo vitale, diventando irriconoscibile. Un’altra caratteristica in comune con Proteo è la capacità di sopravvivere in ambienti ostili, che l’ha reso un simbolo della capacità di adattarsi.

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Il ciliegio, il crisantemo e la dulcamara tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #79

I fiori del ciliegio rappresentano la cortesia. In Giappone simboleggiano anche la grazia, l’integrità morale e la modestia. Hanno però anche dei significati negativi: morte, violenza e brevità della vita (di cui la durata ridotta del loro ciclo vitale è un esempio). In Cina, invece, sono associati alla bellezza femminile.

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Il giglio tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #78

Fin dall’antichità il giglio è considerato un simbolo della fecondità per via della sua notevole capacità di riproduzione. Questo significato l’ha reso un attributo delle Grandi Madri e gli ha permesso di diventare un fiore sacro nei culti femminili.

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Il loto tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #77

Nella mitologia indiana il loto che si schiude sulle acque rappresenta la genesi di Brahmā, il creatore demiurgo. Il fiore, sorto dall’ombelico di Vishnu, è rappresentato con mille petali dorati. Si parla, in questo caso, del loto cosmico, simbolo dell’aspetto materno e fecondo dell’Assoluto.

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La rosa tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #76

Fiore per eccellenza nella cultura occidentale, la rosa ha assunto dei significati diversi nel corso dei secoli e ha sempre avuto un ruolo di rilievo nel folklore.

La sua breve durata l’ha resa il simbolo dell’impermanenza della vita, citato in innumerevoli poesie. Inoltre, nell’antichità era un fiore funerario posato sulle tombe di chi era morto prematuramente.

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Lo stramonio tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #75

Tra le piante velenose, lo stramonio si distingue perché non ci prova nemmeno a sembrare innocente. Di giorno i suoi fiori appaiono avvizziti, mentre di notte si aprono ed emanano un odore disgustoso, sgradito persino agli animali meno schizzinosi. Le foglie dentate ai margini e i frutti coperti da fitti aculei completano il quadro poco rassicurante.

Se assunto in dosi eccessive, lo stramonio causa una grave intossicazione. La morte è preceduta da sete inestinguibile, dilatazione delle pupille e continui conati di vomito. Nei rituali religiosi era usato in quantità modiche, che comunque portavano con sé dei sintomi da non sottovalutare. Mezz’ora dopo l’ingestione si verificavano vistosi arrossamenti cutanei, tachicardia, febbre e ritenzione urinaria, oltre a distorsioni visive e allucinazioni. Questi ultimi effetti erano apprezzati dalle streghe e dai negromanti. Faceva parte delle pozioni che le fattucchiere preparavano in vista dei sabba, assieme alla mandragora e al giusquiamo, ed era anche usato per compiere dei sortilegi.

Le caratteristiche negative della pianta hanno favorito la sua associazione con gli esseri infernali, che si ciberebbero di stramonio per inebriarsi dei suoi effluvi disgustosi.

Raccontando la storia del gatto mammone ft. Greta Vanth

L’Italia è un Paese ricchissimo di folklore, soprattutto considerando tutte le leggende locali diffuse nelle varie regioni, eppure non capita spesso di imbattersi in libri dedicati alle creature presenti nelle storie che sopravvivono da secoli nella tradizione orale. Con il romanzo Mammon, l’ultimo re dei gatti, l’autrice Greta Vanth ha deciso di rimediare almeno in parte a questa ingiustizia, dando il giusto spazio al gatto mammone, un felino gigantesco che, a seconda della versione della leggenda che lo riguarda, può essere una terribile minaccia o uno spirito positivo in grado di difendere gli esseri umani.

Per conoscere meglio l’opera ho deciso di intervistare la sua autrice, che è stata così gentile da concedermi un po’ del suo tempo.

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Il papavero tra leggende e linguaggio dei fiori – Pillole di Folklore #74

Le proprietà sedative del papavero hanno ispirato alcuni dei suoi significati più comuni. Il fiore, infatti, rappresenta la pigrizia, la misantropia e gli atteggiamenti indolenti. Dal Papaver somniferum si ricava l’oppio, mentre il Papaver rhoeas (noto ai più come papavero rosso e presente nei campi italiani nella tarda primavera) ha delle limitate proprietà sedative e antispasmodiche. Dire a qualcuno “sei un papavero!” equivale a definirlo una persona noiosa.

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