Sissy (2022) – Recensione

Chi l’ha detto che essere un’icona social porta solo like e sponsorizzazioni? Sissy, diretto da Hannah Barlow e Kane Senes, ci immerge in una spirale di follia pop dai toni pastello e ci lascia con un’unica certezza: dietro ogni filtro Instagram si può nascondere un trauma che aspetta solo il momento giusto per esplodere.

Cecilia, detta Sissy, interpretata magistralmente da Aisha Dee (sì, quella di The Bold Type, ma qui scordatevi ogni traccia di girl power glamour), è una giovane influencer tutta “amore, self-care e affermazioni positive”. Ma sotto le stories motivazionali e i sorrisi forzati, si agitano una psiche, un passato ingombrante e un presente che sta per andare – letteralmente – a pezzi.

Il film riesce a combinare il body horror con il dramma psicologico in modo sorprendentemente efficace. Merito di una regia che si diverte a giocare con contrasti visivi quasi sadici: l’estetica è da spot pubblicitario, ma ogni sequenza sembra urlare “ansia!” a pieni polmoni. I colori sono saturi, le inquadrature pulite, eppure si respira costantemente un’angoscia crescente, quasi a dire: “Ehi, il male può anche essere kawaii”.

La sceneggiatura – sempre a firma della coppia Barlow/Senes – è tagliente, pungente, e affilata come le unghie finte di una beauty blogger sotto pressione. I dialoghi sono credibili, le dinamiche tra i personaggi ben costruite, anche se ogni tanto si inciampa in qualche esagerazione splatter (la scena della vasca da bagno, per esempio, è un po’ troppo sopra le righe… ma vuoi mettere il colpo d’occhio?).

Aisha Dee regge il film sulle spalle con una performance perfetta: la sua Sissy è timida, spaesata, fragile, eppure inquietante. Il suo sguardo riesce a farti provare empatia e disagio nello stesso frame. Non è facile interpretare una persona mentalmente instabile senza scadere nel grottesco o nel ridicolo: lei ci riesce, mantenendo una delicatezza che rende tutto più disturbante. Anche Hannah Barlow, che interpreta Emma – la vecchia amica che innesca l’apocalisse emotiva – funziona bene, così come Emily De Margheriti nel ruolo dell’antagonista più stereotipata e odiosa che si potesse desiderare.

I delitti di Sissy non sono mai banali: sono disperati, istintivi, persino creativi. Non c’è compiacimento, ma una certa coerenza narrativa che, per quanto possa scioccare, ti costringe a riflettere su quanto sia sottile la linea tra vittima e carnefice. Il film non ti dice mai con certezza da che parte stare, e questo è uno dei suoi punti di forza: chi è davvero il “mostro” qui?

In definitiva, Sissy è una piccola perla australiana che riesce a essere horror, satira sociale, dramma psicologico e black comedy in un colpo solo. Ti fa ridere nervosamente, ti fa sentire a disagio e poi ti lascia a fissare il vuoto mentre ripensi al tuo feed di Instagram.

Consigliato a chi ama gli horror con cervello, cuore e un bel po’ di ansia da notifica.

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Autore: Gabriele Glinni

Esperto di informatica, amante della scrittura creativa. Autore di Ascend-ent e Descend-ent. Sostenitore dell'arte della composizione di messaggi efficaci ed eloquenti.

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