Non è sempre facile essere un fan di Doctor Who

Un'immagine che mostra il Tardis con le porte aperte. Lo sfondo è completamente nero

Premessa: Questa analisi è incentrata soprattutto sull’ultima stagione di Doctor Who (la prima con il quindicesimo Dottore) e contiene spoiler sull’intera trama e sui film Marvel “Avengers: Infinity War” e “Avengers: Endgame”. L’ho scritta dopo essere rimasto deluso dall’ultimo episodio, quindi potrebbe essere influenzata dal mio umore attuale. Detto questo, vi auguro buona lettura e ringrazio in anticipo chi riuscirà ad arrivare alla fine di questo papiro.

L’inizio della nuova era di Russell T Davies

Essere un fan di Doctor Who significa fare i conti con una serie che vive di alti e bassi, soprattutto dal punto di vista della scrittura. All’interno della stessa stagione si può passare da episodi solidi ad altri pieni di errori, incongruenze e scelte illogiche, capaci di far perdere la pazienza anche al Whovian più accanito. Talvolta questa qualità altalenante può essere giustificata dal coinvolgimento di sceneggiatori diversi, non tutti capaci di valorizzare al meglio le storie tipiche della serie, ma a volte capita che la stessa penna brilli in una puntata e vacilli in un’altra.

Di recente Doctor Who ha affrontato una transizione importante, passando dall’era dello showrunner Chris Chibnall, le cui stagioni non hanno mai brillato per qualità della scrittura, a un mezzo ritorno alle origini del NuWho. Infatti, Russell T Davies, lo sceneggiatore che ha curato il revival della serie nel 2005, è tornato al timone, pronto a dare nuova linfa vitale a un universo narrativo che in passato aveva già contribuito a espandere. Il suo ritorno è coinciso con quello di David Tennant, volto storico del Dottore, che nel 2023 è stato protagonista di tre speciali assieme ad attori del calibro di Catherine Tate (tornata a vestire i panni di Donna Noble, una delle companion più apprezzate dal fandom) e di Neil Patrick Harris (al quale è stato affidato il compito di riportare in auge il personaggio del Giocattolaio, mai apparso nella versione moderna di Doctor Who).

L’operazione nostalgia, piuttosto riuscita a giudicare dal numero di spettatori, si è conclusa con l’arrivo del quindicesimo Dottore, interpretato da Ncuti Gatwa (conosciuto dai più nei panni di Eric in Sex Education) e pronto a viaggiare nello spazio tempo a bordo di un Tardis nuovo di zecca. La prima stagione di questa nuova incarnazione del Dottore si è conclusa sabato 22 giugno con l’episodio “Morte e rinascita” (in originale “Empire of Death”) ed è arrivato il momento di fare un bilancio di quel che ha funzionato o meno nella parte iniziale della nuova era di Davies.

Il quindicesimo Dottore

Preferisco dirlo subito: Gatwa mi piace parecchio nei panni del Dottore. Ha dei manierismi che si sposano benissimo con il personaggio e l’entusiasmo con il quale lo porta in scena mi ha ricordato più volte alcuni dei momenti migliori di Tennant e Smith. È anche bravo a passare da un’emozione all’altra in modo convincente, trasmettendo allo spettatore tutta la rabbia e la tristezza provate dal Dottore nel corso di alcune delle scene più intense. Questa sua capacità non è di certo passata inosservata agli occhi di Davies, che ha inserito numerose scene nelle quali il Dottore cede alle lacrime. Ed è qui che, a mio parere, possiamo individuare uno dei difetti di questa quindicesima rigenerazione del Signore del Tempo: l’eccessiva emotività. I momenti in cui il Dottore perde il controllo dovrebbero essere pochi nel corso di una stagione, proprio per renderli unici e dare a ognuno di essi la giusta importanza. Davies stavolta ne ha inseriti davvero troppi, con il risultato di far sembrare 15th meno competente e padrone della situazione rispetto a buona parte delle precedenti incarnazioni del personaggio.

Ci sono stati pochi momenti in cui il Dottore è sembrato davvero “l’uomo più intelligente nella stanza” o l’entità capace di intimorire qualsiasi minaccia aliena. La colpa non è di Gatwa, che ha brillato in ogni scena che gli ha dato modo di mettere in mostra le sue capacità attoriali, ma di una scrittura del personaggio non sempre all’altezza (anche se comunque il miglioramento rispetto alla gestione di Chibnall è innegabile) e di alcuni problemi esterni che hanno danneggiato questa prima stagione. Mi riferisco, in particolare, agli altri impegni lavorativi di Gatwa, che hanno reso necessario introdurre qualche episodio nel quale il Dottore è poco presente, e alla brevità della stagione: otto episodi (più uno special natalizio) si sono dimostrati insufficienti per dare il giusto spazio a tutto quel che aveva in mente Davies e a introdurre in modo soddisfacente la nuova versione del Signore del Tempo.

Ci sono stati comunque dei momenti memorabili, come lo sfogo di rabbia del Dottore al termine dell’episodio “Il pianeta dei mostri” (“Dot and bubble” in inglese) o la sua reazione alla presunta morte di Ruby in “Nessuno è quel che sembra” (“Rogue”) e ho apprezzato che Gatwa abbia “fatto suo” il personaggio, dandogli delle caratteristiche assenti in passato. Bisogna solo smussare un po’ gli angoli, così da rendere questa versione esuberante del Dottore più competente.

Ruby Sunday

Grazie alla fantastica interpretazione di Millie Gibson, Ruby è uno dei pochi personaggi che ha avuto modo di brillare anche in assenza di una scrittura solida. Empatica, intelligente e piena di risorse, la nuova companion mi ha convinto sin dalla prima apparizione e ho adorato la sua chimica con il Dottore nel corso dell’intera stagione. Si è persino dimostrata in grado di reggere sulla propria schiena un intero episodio nel quale il personaggio principale è stato presente solo per pochi minuti (“Il cerchio delle fate”/”73 Yards”). Ho apprezzato lo spazio dedicato alla sua famiglia adottiva (Davies ha sempre dimostrato di cavarsela bene a dare il giusto peso a certe dinamiche) e non ho mai avuto problemi con il suo desiderio di scoprire l’identità della donna che l’ha abbandonata, perché credo sia normale voler conoscere la verità in una situazione del genere.

Purtroppo il limitato numero di episodi ha danneggiato anche Ruby, perché ha dato agli spettatori poche occasioni per apprezzare il suo legame con il Dottore e reso alcuni sviluppi introdotti nell’ultimo episodio fin troppo repentini e privi del giusto pathos.

La gestione dei misteri

È arrivato il momento di parlare di quello che, secondo me e molti altri fan, è stato il grosso problema di questa prima stagione del quindicesimo dottore: la gestione dei misteri. Davies ha riempito tutti gli episodi di elementi inseriti apposta per indurre gli spettatori a formulare delle ipotesi, tirando in ballo questioni come l’identità della madre di Ruby, la capacità di quest’ultima di far nevicare, la presenza costante di una donna con il volto dell’attrice Susan Twist, le rotture della quarta parete di Mrs. Flood e i riferimenti a “The One Who Waits”. Mettendo così tanta carne sul fuoco, lo showrunner ha svolto un ottimo lavoro nel far crescere la curiosità in vista della storia conclusiva della stagione, narrata negli episodi “Il dio della morte” (“The Legend of Ruby Sunday”) e “Morte e rinascita” (“The Empire of Death”).

La prima parte di questa doppietta è stata ottima, perché ha riportato in scena in modo convincente uno dei villain più pericolosi mai affrontati dal Dottore: Sutekh, il dio della morte. L’intero episodio è stato un crescendo goduriosissimo da seguire e si è concluso con uno dei colpi di scena più inaspettati dell’intera era moderna di Doctor Who.

Purtroppo però ha anche creato una situazione difficile da risolvere in modo soddisfacente nell’episodio successivo e, infatti, Davies non è riuscito a dare all’arco narrativo un finale all’altezza della costruzione portata avanti fino a quel momento.

Per spiegare in modo preciso tutto quel che non ha funzionato, credo di non avere altra scelta che dividere la mia critica in varie sottosezioni, ognuna dedicata a un problema di scrittura che ho individuato.

Problema numero uno: il momento Thanos

Ormai anche i sassi conoscono la celebre scena del film Marvel “Infinity War” nella quale Thanos schiocca le dita e causa la scomparsa di metà della popolazione dell’universo. È un momento potente, soprattutto perché coinvolge alcuni dei personaggi principali, ma ha un grosso difetto: ogni spettatore con una minima conoscenza del genere supereroistico (e dei film Marvel) sa benissimo che un simile sconvolgimento dello status quo non durerà a lungo. Vale più o meno lo stesso in Doctor Who: la morte di alcuni personaggi è un’eventualità possibile, ma è molto meno probabile che uno stravolgimento che coinvolge l’intero universo non venga in qualche modo invertito. Nel momento esatto in cui Sutekh ha annientato ogni forma di vita presente nei pianeti sui quali ha viaggiato il Dottore, la tensione è svanita nel nulla, sostituita dalla certezza che il tutto si sarebbe concluso a tarallucci e vino.

Problema numero due: il companion più duraturo

Quando Sutekh ha svelato di essersi agganciato al Tardis, sospettavo che si riferisse allo special “Wild Blue Yonder”, quando il quattordicesimo Dottore ha invocato la superstizione al margine dell’universo, sovvertendo in qualche modo delle leggi cosmiche non scritte e permettendo ad alcune entità, tra cui il Giocattolaio, di entrare nell’universo. Era un’ipotesi ragionevole, soprattutto considerando che è stato in quell’episodio che si è sentito per la prima volta il ruggito associato al dio della morte. E invece no: Sutekh si è aggrappato alla macchina del tempo quando il quarto Dottore ha provato a sbarazzarsi di lui nel Vortice del Tempo. Il che significa che la divinità ha partecipato a una miriade di avventure della sua nemesi senza che nessuno ne fosse a conoscenza. Ha vissuto persino la Guerra del Tempo ed è stata coinvolta nell’esplosione del Tardis avvenuta in “La Pandorica si apre” (“The Pandorica Opens”). Un po’ troppo, persino per un’entità potente come Sutekh!

Problema numero tre: sconfiggere una divinità non dovrebbe essere così facile

Il Dottore ha dimostrato più volte di essere in grado di sconfiggere i suoi nemici in modi a dir poco improbabili, ma ciò non rende meno ridicolo lo stratagemma che ha usato per sconfiggere Sutekh. Approfittando di una corda incredibilmente resistente, dei guanti intelligenti già visti nello special di Natale e di un fischietto, il Signore del Tempo è riuscito a legare il dio della morte al Tardis e a portarlo in giro per lo spazio come se si trattasse di un cagnolino (in effetti le fattezze sono un po’ quelle, ma non è questo il punto!). Trovo assurdo che Sutekh non abbia fatto alcunché per liberarsi. Paradossalmente, il Dottore ha avuto molti più problemi a sconfiggere il Giocattolaio e Maestro!

Problema numero quattro: il grande reset

Il Dottore non ha portato Sutekh a fare una passeggiata nello spazio solo per sbarazzarsi di lui, ma anche per portare “morte alla morte”. In pratica l’idea è che la divinità possa cancellare il concetto stesso di mortalità e riportare in vita chi è morto per mano sua, attuando, di fatto, un grande reset. Questa trovata non è solo insensata, ma sbuca letteralmente dal nulla verso la fine dell’episodio, senza mai essere spiegata allo spettatore in modo soddisfacente. Davies non è nuovo alle soluzioni tirate fuori dal cilindro che risolvono in pochi minuti un problema apparentemente insormontabile, ma stavolta si è davvero superato (in negativo).

Problema numero cinque: tutto fumo e niente arrosto

Arriviamo ora al problema più grande, quello che rovina non solo questo episodio ma anche il resto della stagione: l’identità della madre di Ruby. Dopo aver fatto ruotare un intero arco narrativo attorno al mistero che circonda questa donna, Davies ha deciso, contro qualsiasi logica, di renderla una persona qualunque. “Era importante solo perché noi le abbiamo dato importanza” -> Cosa diavolo dovrebbe significare? Tutti i genitori sono importanti per i figli, ma nell’intero universo solo questa donna ha un volto impossibile da vedere persino facendo ricorso alle tecnologie della Unit, non può essere rintracciata da Davina McCall (che poi è un’infermiera, quindi com’è possibile che non ci sia traccia del suo DNA nei database?) ed è collegata a varie anomalie temporali. Per quale ragione Sutekh non dovrebbe essere in grado di scoprire informazioni sul suo conto? E perché Ruby, persona ordinaria figlia di un’umana qualsiasi, riesce a far nevicare? Troppe domande senza risposta.

Qualcuno ha ipotizzato che Davies abbia voluto portare avanti una critica metanarrativa agli spettatori che dedicano troppo tempo ed energie alla formulazione di varie ipotesi sulla serie, ma neppure questa chiave di lettura non mi piace. Non puoi porre di continuo l’accento su un mistero nella tua storia e poi criticare i fan per avergli dato importanza! Da qualsiasi punto di vista la si guardi, questa soluzione fa acqua da tutte le parti e rende difficile prendere sul serio qualsiasi altro mistero che Davies sceglierà di introdurre nelle prossime stagioni.

Problema numero sei: la riconciliazione più veloce di sempre

Non sono contrario ai finali idilliaci (anche se preferisco quelli agrodolci), però ho odiato la scelta di rendere così facile la riconciliazione tra Ruby e la madre biologica. Avrei preferito vederle ricucire il loro rapporto poco per volta, timorose di ferirsi a vicenda e pronte a festeggiare ogni piccolo passo avanti. Le scene finali sono state davvero troppo sbrigative, così come l’addio tra Ruby e il Dottore, reso poco incisivo dal numero ridotto di avventure affrontate al fianco l’uno dell’altra.

Problema numero sette: l’ìndice puntato

“Tua madre non stava indicando me, bensì il nome della strada! Ti stava dando un nome”.
Uhm.
Ok.
No, aspetta, non ha senso.
Perché una quindicenne (vestita come Daemon Targaryen quando è in vena di malefatte, tra l’altro) dovrebbe puntare il dito verso una targa segnaletica per dare il nome alla figlia che sta abbandonando? I biglietti sono passati di moda?

Considerazioni finali

Nel complesso ho seguito con piacere questa prima stagione della nuova stagione della seconda era di Davies, ma il finale mi ha lasciato l’amaro in bocca e ha retroattivamente rovinato tante scene che credevo avrebbero acquisito un senso una volta svelati alcuni misteri. Ho riposto troppa fiducia nelle capacità dello showrunner, che forse avrebbe fatto meglio a restare sul semplice come nell’unica stagione di Ecclestone e a evitare di imbastire una trama in stile Moffat. Detto questo, ho in parte apprezzato la natura sperimentale di alcune puntate, però credo che per il futuro sarebbe meglio restare un po’ più sul classico, soprattutto se anche le prossime stagioni avranno meno di dieci episodi.

Autore: Alessandro Bolzani

Mi chiamo Alessandro e sono l'autore del romanzo urban fantasy "I Guardiani dei Parchi". Nella vita faccio il giornalista, ma qui su Wordpress gestisco il blog "Pillole di Folklore e Scrittura", dove parlo di libri, mitologia, credenze popolari e, in generale, di tutto ciò che mi appassiona.

2 pensieri riguardo “Non è sempre facile essere un fan di Doctor Who”

  1. Hai fatto un analisi corretta anche secondo me Suteck andava fatto risuscitare diversamente, tra l’altro il tardis del nuovo dottore è stato creato con il giocattolaio e quindi è un errore , i alla fine poi dire che Ruby e sua Madre sono umani e un altro errore perché per tutte le puntate le ha fatte immaginare speciali.

    Deluso dal finale, preferisco le stagioni con Matt Smith.

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    1. Grazie! Penso che un antagonista come Sutekh avrebbe meritato una gestione migliore in generale, vederlo sconfitto nell’arco di un singolo episodio mi ha lasciato l’amaro in bocca. La tua osservazione sul Tardis è giustissima, infatti qualcuno ha ipotizzato che il dio della morte possa essersi sdoppiato in quell’occasione e che quindi il Dottore non abbia affrontato la versione originale, ma solo una copia (non è una teoria priva di problemi, però potrebbe giustificare alcune scelte fatte nel finale di stagione). Su Ruby e sua madre sono d’accordo al 100%, è stato sbagliato dare tanto peso al mistero per poi risolverlo in modo così banale.

      Le stagioni con Matt Smith sono tra le mie preferite (soprattutto la quinta e la sesta), ma pure le prime quattro scritte da Russel T Davies mi piacciono molto. Infatti avevo grandi speranze per questo suo ritorno, ma nel complesso devo ammettere di essere rimasto abbastanza deluso (c’è stato un passo avanti rispetto all’era di Chibnall, però la qualità di quel periodo è stata così bassa che non ci voleva molto a fare di meglio).

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