Life is Strange: qual è il migliore? La mia classifica

Molte delle mie serie videoludiche preferite sono nate svariati anni fa (il primo The Legend of Zelda, per esempio, risale al 1986). Life is Strange rappresenta un’eccezione più unica che rara. Ho finito il primo capitolo nel 2017, quando era uscito da ormai un paio di anni, e l’ho amato a tal punto da giocare tutti gli altri sequel e prequel al day one o comunque a breve distanza dall’uscita. Pochi giorni fa ho portato a termine Life is Strange: True Colors, l’ultimo gioco della serie, e mi è venuta voglia di stilare una classifica dei quattro capitoli del brand usciti finora. Premetto che non considero nessun Life is Strange un brutto gioco e che le posizioni sono assegnate più sulla base di gusti personali che su effettivi problemi (tecnici o di gameplay) dei giochi.

Quarto posto per Life is Strange 2

Un po’ mi dispiace dover mettere Life is Strange 2 all’ultimo posto, perché i primi due capitoli mi avevano fatto davvero sperare in un titolo capace di superare le vette raggiunte dai suoi predecessori. Purtroppo il resto del gioco non è stato all’altezza delle aspettative. La struttura in stile “on the road” ha reso pressoché impossibile approfondire in modo adeguato i vari personaggi secondari, che spesso hanno al massimo uno o due capitoli per brillare. Si va così a perdere uno dei punti forti della serie. Sean non è male come protagonista, anche se un po’ anonimo, ma ho l’impressione che nel corso dell’avventura non sia mai riuscito a compiere un’evoluzione significativa come quella di altri personaggi principali, forse a causa della presenza asfissiante di Daniel. Ho apprezzato il legame tra i due fratelli all’inizio del gioco, ma dal terzo capitolo in poi ho iniziato a vederlo come un limite soffocante. La colpa è soprattutto di Daniel, personaggio che nella parte centrale del viaggio verso il Messico ho trovato insopportabile. Il suo comportamento è giustificabile, visto che stiamo parlando di un bambino che ha vissuto dei traumi tremendi, ma questo non lo rende più gradevole.

Anche la scelta di dare il superpotere a Daniel non mi ha fatto impazzire. Usare le capacità sovrannaturali in libertà è uno degli aspetti più belli e innovativi di Life is Strange e mi è dispiaciuto vederlo relegato in un angolino. Sulla carta l’idea di fare da mentore a un potenziale supereroe/supercattivo è anche carina, ma all’atto pratico mi ha divertito meno di quel che mi sarei aspettato. Tra l’altro la telecinesi mi è sembrata meno adatta a questa tipologia di gioco rispetto alla manipolazione del tempo o delle emozioni.

Medaglia di bronzo per Before the Storm

Questo prequel del primissimo Life is Strange mette i giocatori nei panni di Chloe e si concentra molto sulla relazione tra la ribelle e Rachel Amber. Potendo contare solo su tre capitoli (più un DLC) è il gioco più breve della serie, ma questo non è per forza un difetto. La storia narrata procede sempre in modo spedito, senza troppi momenti morti, dando al giocatore dei buoni motivi per tenere alta l’attenzione. Purtroppo anche il legame tra Chloe e Rachel si sviluppa un po’ troppo velocemente, rendendolo a tratti poco realistico. È vero che da adolescenti si tende a fare amicizia più in fretta e a vivere le esperienze con maggiore intensità, però il salto da “sconosciute” a “migliori amiche/coppia” è comunque un po’ troppo repentino.

Per il resto il gioco approfondisce bene vari personaggi presenti nel primo Life is Strange e introduce alcune new entry interessanti. Tra queste vale la pena menzionare Steph, che grazie alla sua passione per i giochi di ruolo permette di vivere alcune delle sequenze più divertenti dell’intera serie. Giocare nei panni di Chloe è interessante e l’assenza di un superpotere non si fa sentire più di tanto. È presente un piccolo minigioco nel quale bisogna convincere uno dei personaggi a cambiare idea scegliendo le parole giuste. Non è brutto, però in alcuni contesti mi è sembrato davvero fuori luogo e ridicolo. Impeccabile, invece, la colonna sonora.

True Colors si piazza al secondo posto

True Colors è riuscito a fare ciò in cui LiS 2 aveva fallito: staccarsi dall’ambientazione di Arcadia Bay senza rinunciare all’atmosfera tipica del primo gioco. L’avventura di Alex è ambientata a Haven Springs, una piccola cittadina montana del Colorado. Uno degli aspetti più belli del titolo è imparare a conoscere poco per volta il comune e i suoi abitanti, seguendo la protagonista nel suo percorso di integrazione. Credo che tutti i giochi della serie dovrebbero seguire questa formula, perché funziona davvero bene e regala grandi soddisfazioni. L’esperimento di Life is Strange 2 è stato interessante, non lo nego, però non mi ha convinto del tutto.

Tornando a True Colors, ho apprezzato molto l’idea alla base del potere di Alex, tanto semplice quanto intrigante. All’inizio pensavo che la capacità di vedere le emozioni non si sarebbe sposata bene con la componente mystery, ma Deck Nine è stata brava a dosarla e a sfruttarla in modi originali. Rispetto al primo Life is Strange, la trama è un po’ più “terra terra”, ma regala comunque delle svolte interessanti e dei momenti emozionanti. L’unico vero difetto è la sua prevedibilità, ma quantomeno stavolta fila tutto e non ci sono grossi buchi o incongruenze. Ammetto però che non mi sarebbero dispiaciuti degli approfondimenti su alcuni aspetti della narrazione, giusto per rendere l’esperienza ancora più completa e avvincente. Mi sono divertito tanto dall’inizio alla fine e non mi sarebbe dispiaciuto poter continuare a farlo ancora per qualche ora. Il DLC Wavelengths ha in parte risposto a questa esigenza, permettendomi di vivere un’esperienza molto particolare nei panni di Steph. Spero di vedere altri esperimenti del genere in futuro, perché hanno un grande potenziale narrativo.

Molto gradevole pure la colonna sonora, anche se l’ho trovata gestita meglio nel DLC che nel gioco principale, dove spesso le canzoni migliori sono state inserite nei punti in cui Alex si siede a riflettere.

Il primo Life is Strange è ancora in cima alla classifica

C’è poco da fare: finora nessun gioco della serie è riuscito a emozionarmi e a coinvolgermi quanto il primo Life is Strange. Il potere di Max, le scene di vita quotidiana, i misteri, l’approfondimento dei personaggi: tutti questi elementi sono bilanciati in modo perfetto, dando vita a un’esperienza memorabile. Dontnod ha avuto un’idea straordinaria quando ha scelto di introdurre la possibilità di tornare indietro nel tempo in un gioco basato sulle scelte del giocatore. Questa meccanica è stata sfruttata al massimo, creando situazioni divertentissime da gestire e anche qualche enigma degno di nota. Gli altri poteri esplorati finora, per quanto interessanti, non hanno avuto lo stesso impatto sul gameplay dei rispettivi giochi.

Arcadia Bay e i suoi abitanti sono un altro enorme punto a favore di Life is Strange. Col passare dei capitoli, la città diventa come una seconda casa per il giocatore e tutti i personaggi, anche quelli più insopportabili, dimostrano di essere tutt’altro che bidimensionali. Il tutto è arricchito da una colonna sonora fantastica, capace di dare la giusta enfasi a ogni momento. Se brani come “To all of you” e “Obstacles” sono entrati tra i miei preferiti è solo merito del loro utilizzo in alcune delle scene più memorabili del gioco.

Nonostante tutti questi elogi, non considero Life is Strange un gioco perfetto. I primi quattro capitoli sono a dir poco fantastici, ma il quinto porta la trama in una direzione che non sono ancora riuscito a digerire, rovinando in parte l’esperienza complessiva. Tutti gli altri Life is Strange hanno dei finali molto più belli, eppure non sono riusciti a farmi innamorare quanto la prima, storica avventura di Max e Chloe. Considerando che altre opere sono state distrutte dal finale, credo che questa sia un’ottima testimonianza della qualità complessiva del gioco di Dontnod.

Autore: Alessandro Bolzani

Mi chiamo Alessandro e sono l'autore del romanzo urban fantasy "I Guardiani dei Parchi". Nella vita faccio il giornalista, ma qui su Wordpress gestisco il blog "Pillole di Folklore e Scrittura", dove parlo di libri, mitologia, credenze popolari e, in generale, di tutto ciò che mi appassiona.

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