Quando si pensa a un racconto ambientato in un luogo immaginario vengono subito in mente aree sconfinate come Westeros, la Terra di Mezzo e Narnia, ormai ben radicate nell’immaginario collettivo. Il genere fantasy è da sempre associato a mondi molto complessi e studiati nel minimo dettaglio, ricchi di città ed ecosistemi diversissimi tra loro. Tuttavia esistono anche luoghi immaginari dalle dimensioni molto meno generose e che poco o nulla hanno a che fare con elfi, orchi, nani, goblin e compagnia bella.
Un esempio emblematico è Vigàta, la città in cui sono ambientati tutti i romanzi di Sergio Camilleri aventi per protagonista il Commissario Montalbano. Si tratta di un borgo del tutto verosimile, non molto diverso da tanti altri comuni della Sicilia che esistono davvero.
Ma perché l’autore ha scelto di ambientare i suoi racconti in un luogo immaginario e non in una delle tante città siciliane che ben conosceva? Ecco la spiegazione che ha dato in un’intervista:
«Vigàta in realtà è Porto Empedocle. Ora, Porto Empedocle è un posto di diciottomila abitanti che non può sostenere un numero eccessivo di delitti, manco fosse Chicago ai tempi del proibizionismo: non è che siano santi, ma neanche sono a questi livelli. Allora, tanto valeva mettere un nome di fantasia: c’è Licata vicino, e così ho pensato: Vigàta. Ma Vigàta non è neanche lontanamente Licata. È un luogo ideale, questo lo vorrei chiarire una volta per tutte. »
Camilleri ha dunque creato Vigàta per una precisa esigenza narrativa. Credo di aver seguito un percorso molto simile al suo quando ho ideato Quercia Alta, la piccola città del Nord Italia in cui è ambientato il mio romanzo, “I Guardiani dei parchi”. Per crearla mi sono ispirato a un paese non troppo distante da casa mia, dove si trova un parco quasi identico a quello descritto nel racconto. Purtroppo il comune non ospita alcune strutture di cui avevo bisogno ai fini della storia, come un centro commerciale e una scuola superiore, dunque non potevo usarlo direttamente come ambientazione. Per non complicarmi troppo la vita ho quindi preferito espandere con l’immaginazione il paese, riempirlo di elementi presi in prestito da altre città limitrofe e dargli un nome inventato.
Inventare una città o scegliere volutamente di non nominare mai il luogo in cui è ambientata la storia è anche un buon modo per poter inserire nel racconto quel che si desidera, senza dover controllare tutte le volte se l’elemento x o y è presente anche nel mondo reale. Certo, nulla vieta di ambientare un racconto a Milano, per esempio, e buttarci dentro un bar o un ristorante inventato, ma con punti di riferimento più ingombranti come Chiese, statue o parchi (giusto per restare in tema) diventa un po’ più complicato prendersi delle libertà e giustificarle in modo convincente.
Creare un mondo fantasy o fantascientifico partendo da zero è senz’altro più complesso rispetto all’ideare una singola città. Bisogna fare in modo che ogni singolo elemento sia coerente con le regole create nella fase iniziale del processo, in modo da non tradire quel tacito accordo col lettore noto come “sospensione dell’incredulità”. Per fare un esempio, nulla vieta di creare un mondo in cui esiste una città che solo grazie a una forma di magia ormai perduta è in grado di fluttuare nel cielo, ma poi bisogna fare attenzione a non inserire nello stesso racconto un altro borgo che fluttua senza alcun motivo apparente. Essere coerenti con sé stessi è la regola d’oro per dare vita a uno scenario fantasy o fantascientifico credibile e a prova di critiche.