In quest’articolo, un po’ diverso dal solito, andrò a ripercorrere il mio 2020, soffermandomi sui videogiochi che, nel bene e nel male, mi hanno accompagnato in un anno così insolito. Seguirò un ordine cronologico e dedicherò ciascuna sezione a un mese specifico.
Gennaio
Ho dedicato buona parte del mese a portare a termine Death Stranding. L’ultima fatica di Hideo Kojima mi ha colpito per il suo gameplay diverso dal solito, in cui anche solo muovere pochi passi con un carico sulla schiena diventa una sfida da gestire con pazienza e logica. Ogni elemento presente nel mondo desolato in cui si svolge il gioco è un potenziale ostacolo al completamento di una missione: dalla roccia in mezzo all’erba al corso d’acqua più profondo del previsto, esistono mille modi per perdere l’equilibrio e danneggiare o smarrire il proprio carico. È proprio per questo motivo che diventa importante studiare bene ogni movimento, scegliere il percorso più adatto (che non sempre è quello più breve), organizzare con cura le risorse a propria disposizione ed evitare di raccogliere ogni pacco che si trova per strada. Non nego che dover prestare attenzione a così tanti fattori mi abbia portato più volte a prendere delle pause per far riposare un po’ la mente.

Quella che ho descritto finora è solo la punta dell’iceberg di un’opera mastodontica e ricca di sfaccettature. A rendere il gameplay più vario di un semplice “Bartolini Simulator” ci pensano elementi come le CA, entità sovrannaturali da evitare a ogni costo, i MULI, dei nemici ossessionati dall’idea di rubare i pacchi trasportati dal protagonista, il BB, il neonato che permette a Sam di individuare la presenza della CA e che deve essere regolarmente “cullato”, i mezzi di trasporto che da metà gioco in poi rendono più semplici gli spostamenti e molto altro ancora. Un altro elemento che è doveroso citare è la possibilità di influenzare l’esperienza degli altri giocatori creando ponti con cui attraversare i fiumi, autostrade su cui viaggiare, generatori, torri di controllo, box postali, teleferiche ecc.

La connessione “indiretta” che si viene così a creare tra i giocatori si sposa alla perfezione con quello che è il tema centrale di Death Stranding: “riunire ciò che è stato diviso”. Un leitmotiv che, alla luce degli eventi del 2020, è più attuale che mai. A un anno di distanza, ripensare a quei personaggi rinchiusi nei loro rifugi e costantemente alla ricerca di un modo per mettersi in contatto col mondo esterno non può che farmi riflettere su quanto ci avesse visto lungo Kojima.
Non voglio scendere nel dettaglio sulla trama per non rovinare la sorpresa a nessuno. Mi limito a dire che l’ho apprezzata, soprattutto nelle fasi finali, e che ho passato gli ultimi minuti dell’avventura con gli occhi lucidi. Permettetemi però di dire che un po’ più di chiarezza su alcuni aspetti della storia non avrebbe guastato.
Come ho già detto, Death Stranding è un gioco abbastanza “pesante” da affrontare e che richiede la giusta dose di concentrazione. Forse è proprio per questo che dopo una trentina di ore di gioco ha iniziato un po’ a stufarmi, spingendomi a ignorare varie missioni secondarie pur di “tirare dritto” e arrivare alla conclusione. Credo che il gioco avrebbe beneficiato di un’avventura principale un po’ meno lunga, soprattutto considerando che alcune missioni tendono ad assomigliarsi troppo. Nel complesso, comunque, il mio giudizio su Death Stranding è estremamente positivo. Credo che tutti i possessori di una PlayStation 4/5 dovrebbero provare a dargli almeno una possibilità.

A gennaio ho giocato anche a Luigi’s Mansion 3, senza però portarlo a termine. Il primo impatto con la nuova avventura del fratello di Mario è stato ottimo: mi è sembrata molto meno limitata del capitolo uscito su 3DS nel 2013 (che ho trovato inferiore al mitico capostipite della serie). Andando avanti, l’impressione iniziale è stata confermata, grazie soprattutto a tante piccole chicche di gameplay. Gommiluigi è un’ottima aggiunta e ho trovato riuscitissimi tutti gli enigmi legati al suo utilizzo. Anche gli scontri con i boss mi hanno colpito per la loro originalità. Non ricordo di preciso perché a un certo punto ho abbandonato il gioco (forse mi ero imbattuto in un livello meno ispirato degli altri), ma una cosa è sicura: prima o poi mi darò da fare per portarlo a termine.

Febbraio
A volte capita di lasciare un gioco a metà, riprenderlo in mano due anni dopo e innamorarsene alla follia. È proprio quello che mi è successo nel 2020 con Nier: Automata. Dopo aver superato la route di 9S, lo scoglio principale che nel 2018 mi aveva portato ad allontanarmi dal gioco, non sono più riuscito a staccare le mani dal pad e sono arrivato al termine dell’avventura nel giro di pochi giorni. Oltre al gameplay sopraffino (Platinum Games è una garanzia), ho adorato la trama, l’ambientazione e i personaggi, tutti molto più profondi e “umani” di quanto potrebbero sembrare in un primo momento. Yoko Taro è un genio visionario e il suo particolarissimo stile narrativo è in grado di toccare corde che un approccio più tradizionale non sfiorerebbe nemmeno. Sotto la sua gestione, la sofferenza dei personaggi diventa uno strumento fondamentale per veicolare i messaggi chiave dell’opera, che ruotano tutti attorno alla stessa domanda: “Che cosa significa essere umani?”.

Marzo
Nier: Automata mi è piaciuto così tanto che nel corso di marzo sono persino arrivato a platinarlo. Di solito non presto molta attenzione ai trofei, ma la mia voglia di scoprire il più possibile sul mondo creato da Yoko Taro mi ha spinto a fare un’eccezione alla regola. È così che grazie all’avventura di 2B mi sono portato a casa il mio primissimo trofeo di platino. Per amore dell’onestà, ammetto di aver “comprato” due trofei particolarmente tediosi da ottenere, ma tutto il resto è stato farina del mio sacco.
Sempre a marzo è iniziata la mia “seconda vita” in Animal Crossing: New Horizons. Da buon fan della serie ho preso il gioco al day one (in versione digitale) e fin da subito ho apprezzato tutte le migliorie introdotte (oltre alla grafica carinissima). Ho ringraziato il cielo per l’inventario più capiente e ho accolto con gioia l’introduzione del Nook Phone e dei vari obiettivi da sbloccare. Un’altra aggiunta molto carina è la possibilità di decorare l’intera isola, arrivando persino a creare nuovi corsi d’acqua, stradine acciottolate, alture e altro ancora. Bene o male il gioco mi ha accompagnato fino a maggio/giugno ed è stato uno dei miei passatempi principali durante il lockdown.

Aprile
Tra delusioni, sorprese e conferme, aprile è stato un mese piuttosto “caldo” dal punto di vista videoludico. Dopo aver adorato il remake di Resident Evil 2 avevo delle aspettative piuttosto alte nei confronti della riproposizione in chiave moderna del terzo capitolo della serie, ma purtroppo non sono state soddisfatte al 100%. Pur essendo a tratti gradevole, il gioco si è rivelato davvero troppo lontano dalla versione originale, sia a livello di contenuti che di atmosfere. L’approccio eccessivamente action presente in alcune sezioni mi ha fatto storcere il naso e mi ha riportato alla mente i punti più bassi toccati dalla serie survival horror di Capcom. L’aspetto peggiore è che è venuto quasi del tutto a mancare il delicato mix tra scontri con gli zombie e strategia presente nel remake di RE2.

Final Fantasy VII Remake mi ha colpito sin da subito in positivo. Il sistema di combattimento, che unisce componenti action alla giusta dose di strategia, si è rivelato appagante, anche grazie alla possibilità di passare da un membro del party all’altro durante ogni scontro. Pure la resa grafica e la pulizia visiva mi hanno lasciato di stucco. Gli scorci di Midgar sono così belli da mozzare il fiato e i personaggi sono realizzati con una cura per i dettagli maniacale. Sul fronte della trama ci sono sia delle note positive che negative. La scelta di soffermarsi solo sulla prima parte del gioco originale ha permesso di approfondire alcuni aspetti che nel 1997 erano stati solo sfiorati, ma ha anche scombinato il pacing della narrazione. Ci sono alcune parti dell’avventura che non sono altro che dei riempitivi e potrebbero essere rimosse nella loro interezza senza rovinare l’esperienza. I veri problemi, tuttavia, arrivano solo nella parte finale del gioco. Senza fare spoiler, mi limito a dire che nelle ultime fasi della storia si verificano eventi che sembrano usciti dalle scene peggiori di Kingdom Hearts…

Anche sul fronte del gameplay non è tutto rose e fiori. In alcuni punti del gioco non si fa altro che affrontare un combattimento dietro l’altro e alla lunga si finisce per provare una forte sensazione di tedio/frustrazione. Credo che una maggiore alternanza di parti action ad altre più incentrare sull’esplorazione avrebbe giovato all’esperienza complessiva.

Prima di acquistare Persona 5 Royal avevo un solo dubbio: «Questo gioco riuscirà a divertire anche chi, come me, ha spolpato la versione “liscia” del gioco tre anni fa?». La risposta, almeno nel mio caso, è stato un sonoro sì. Persona 5 Royal non si limita ad affinare ulteriormente un combat system già di altissimo livello, ma porta con sé anche una nuova porzione di storia, che si integra alla perfezione con quanto narrato nell’avventura originale. I nuovi personaggi non sembrano mai fuori posto e con i loro dialoghi e le loro azioni aiutano a esplorare in modo ancor più approfondito i temi centrali della trama.

Non mancano un sacco di extra a livello di gameplay, tra cui una serie di sfide da affrontare, tanti collezionabili da sbloccare e varie migliorie che rendono più semplice gestire i vari aspetti del gioco (la possibilità di livellare le skill all’interno del Leblanc, per esempio, rappresenta un passo avanti molto importante).
Persona 5 Royal è un titolo enorme e i ritmi con cui gioco mi hanno permesso di finirlo sono dopo alcuni mesi. Ciò non mi ha comunque impedito di rifarlo una seconda volta da cima a fondo per sbloccare ogni singolo trofeo, completare il compendium e togliermi altre soddisfazioni. Per me è stato il gioco dell’anno, a mani bassissime.

Maggio – Giugno – Luglio – Agosto
In questi quattro mesi mi sono limitato a portare avanti Persona 5 Royal e altri giochi di cui ho già parlato (tra cui Animal Crossing: New Horizons).
Settembre
Dopo aver dedicato più di un centinaio di ore a Persona 5 Royal sentivo davvero il bisogno di un gioco più leggero e dinamico. La scelta è ricaduta su Devil May Cry 5, che mi ha dato esattamente quel che cercavo. L’avventura di Dante, Nero e V, completabile in una manciata di ore, mi ha davvero divertito. Ognuno dei personaggi giocabili è piacevolissimo da usare, soprattutto per merito delle varie abilità che li differenziano. Il combat system di Nero, basato sui Devil Breaker, è quello che mi è piaciuto di più. Ho adorato la colonna sonora.

Ottobre
Per quanto mi riguarda, Genshin Impact è stata la sorpresa più grande del 2020 (perlomeno a livello videoludico!). Il gdr free to play di miHoYo mi ha colpito fin da subito per la sua grafica coloratissima, la colonna sonora a dir poco sontuosa, i personaggi carismatici e, soprattutto, il mondo in cui è ambientato. A differenza di tante altre ambientazioni fantasy anonime, Teyvat risulta fin da subito “vivo”, credibile e lontano dai classici stereotipi. Adoro passare il mio tempo lì e scoprire sempre nuove informazioni sulla sua lore. Anche il gameplay, basato sull’uso di differenti tipi di armi ed elementi, si è rivelato più appagante e complesso di quel che avevo ipotizzato nei primi minuti di gioco. Rispetto a tanti altri gacha, Genshin Impact permette anche a chi vuole giocare senza spendere soldi di godersi l’esperienza. Da ottobre a oggi ho speso solo una decina di euro per mettere le mani su qualche piccolo extra, ma tutto il resto l’ho ottenuto con le mie sole forze (inclusi tre personaggi a cinque stelle).

Novembre
Oltre a portare avanti Genshin Impact, nel corso di novembre ho recuperato varie visual novel su Steam, tra cui il primo capitolo di Higurashi no naku koro ni. Quel che ho visto finora (purtroppo non l’ho ancora finito) mi è piaciuto. Il gioco approfondisce molto bene i legami tra i personaggi e sfrutta al massimo gli effetti sonori e il doppiaggio per dare vita a un’esperienza immersiva (l’uso delle cuffie è consigliatissimo). Se avete apprezzato l’anime, di sicuro può valere la pena approfondire la vostra conoscenza di Hinamizawa giocando alla novel.

Restando i tema di visual novel, nel corso del mese ho anche recuperato Café Bouvardie, uno dei giochi a cui ha lavorato la mia amica Crescendo. Mi ha colpito tantissimo per l’ambientazione originale (i fatti narrati si svolgono in un mondo in cui il tempo ha smesso di scorrere e ognuno può trascorrere l’eternità come ritiene opportuno), le musiche, e l’atmosfera suggestiva che si respira all’interno del locale che da il nome al gioco. Ho adorato anche le backstory di Clem e Lotus e l’alchimia che le due hanno in ogni singolo dialogo.

Un altro gioco di Crescendo a cui ho avuto modo di giocare è Ciao Nonna, una breve avventura che unisce una deliziosa grafica in stile Game Boy a una narrazione delicata, in grado di trasmettere dei messaggi importanti con poche righe di testo.

Dicembre
In vista del Natale, ho approfittato dei saldi del Black Friday per autoregalarmi Crash Bandicoot 4: It’s About Time e The Outer Worlds. Dopo un primo impatto iniziale tutto sommato buono, col passare dei livelli ho iniziato a trovare sempre più indigesta la nuova avventura del peramele. Per i miei gusti, la curva di difficoltà si alza fin troppo presto, i livelli durano troppo (io li avrei spezzati tutti in due parti), le casse sono troppe e poste spesso e volentieri in punti ciechi della telecamera e i livelli bonus sono passati dall’essere dei piacevoli passatempi a degli incubi a occhi aperti. Sto esagerando? Sì, forse un po’. Però sta di fatto che per me Crash Bandicoot 4 non ha saputo ereditare al meglio lo spirito della trilogia originale. Non è di per sé un brutto gioco, ma non è per niente quel che mi aspetto quando mi approccio a un capitolo di questa serie.

Passando a The Outer Worlds, il gioco mi ha colpito fin da subito per il modo in cui critica e ridicolizza il capitalismo, mettendone in luce ogni singola assurdità. È ambientato, infatti, in un futuro in cui le persone sembrano incapaci di staccarsi al 100% dall’azienda per cui lavorano, arrivando persino a ripeterne gli slogan quando interagiscono con gli altri. Scoprire tutti gli aspetti di questo universo, dialogo dopo dialogo, è molto interessante. Oltre alle interazioni con i personaggi, gli altri pilastri su cui si basa il gioco sono la personalizzazione del proprio alter ego virtuale (tramite i punti abilità da distribuire ogni volta che si sale di livello) e i combattimenti con mostri e predoni. Quest’ultimi sono ben fatti e possono essere affrontati sia ricorrendo alle armi da fuoco che a quelle da mischia.
