La tradizione del Giovedì Santo

Dato che ci stiamo avvicinando alla Santa Pasqua, mi farebbe piacere parlarvi di una tradizione del Giovedì Santo, tradizione che mia nonna porta avanti da molti anni ormai: i vasi per i sepolcri.

Le tradizioni, purtroppo, non sempre vengono tramandate o, al contrario, i nostri nonni sono propensi a tramandarle ma noi non siamo interessati: prendiamo tutte le scuse di questo mondo per evitare che continuino a “inculcarci queste scemenze”. Questo è quello che spesso noi giovani pensiamo. Tornando a noi, per sepolcro si intende l’altare della reposizione dove al termine della Messa in Cena Domini (è una messa che si tiene nel tardo pomeriggio e che ricorda l’ultima cena di Gesù, durante la quale il Cristo istituì l’Eucarestia, l’atto dello spezzare il pane e consegnò ai discepoli il comandamento dell’amore e dopo aver lavato loro i piedi, gesto che simboleggia l’umiltà di Gesù) [Dal Vangelo: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi“] l’Eucarestia viene consacrata e consegnata ai fedeli il giorno seguente. L’altare della reposizione non coincide con quello dove si celebra la Santa Messa ed è addobbato in maniera solenne. Dunque, il Giovedì Santo è tradizione andare per sepolcri, facendo visita ai diversi altari allestiti nelle chiese della propria città. Il numero di sepolcri da visitare varia da 5 (quante sono le piaghe di Cristo) a 7 (quanti sono i dolori della Madonna).

LA PREPARAZIONE DEI VASI

Secondo la tradizione la popolazione devota si preparava per tempo e con dedizione alla liturgia della Passione e, nel buio delle proprie cantine, coltivava diversi tipi di piante: lenticchie, cicerchie e soprattutto il grano per richiamare il verso del Vangelo secondo il quale occorre che il grano muoia perché porti molto frutto. Per chi non le conoscesse, le cicerchie sono legumi di forma irregolare simili a dei piccoli sassi, di colore bianco – grigio sporco o giallo opaco. Alla semina dei vasi per il sepolcro si provvedeva all’inizio della Quaresima. I chicchi venivano messi superficialmente su terra, ricoperti da un sottile strato di terriccio, innaffiati con un po’ di acqua e venivano lasciati a germogliare in cantina o sotto il cassettone delle stufe a legna, nel buio più totale e, in assenza di fotosintesi clorofilliana, le piantine crescevano acquisendo un colore con delle sfumature bianco-giallino. Per far sì che ciò avvenisse, il vaso veniva scrupolosamente coperto da un recipiente più grande e una volta la settimana il coperchio veniva tolto per innaffiarlo e rimesso immediatamente per evitare che le piantine prendessero troppa luce e si colorassero. Il giorno del Giovedì Santo, i vasi venivano portati in chiesa per adornare il Santo Sepolcro, vasi tristi e mesti, ma allo stesso tempo pieni di vita a simboleggiare che la morte di Gesù non è fine a sé stessa ma si compie in funzione della Resurrezione. Un tempo i vasi erano tantissimi e mia nonna racconta sempre che facevano a gara a chi lo faceva più grande e più folto. Al centro mettevano anche un rametto di palma benedetta.

Quando ero bambina, insieme a mia sorella, ci divertivamo molto a stare dietro alle piantine: non vedevamo l’ora che arrivasse il giorno in cui potevamo innaffiarle per vedere come erano diventate nel frattempo, se erano grandi, folte e belle e poi chiamavamo le nostre amiche di paese per sapere come erano diventate le loro. Il Giovedì Santo ci davamo appuntamento davanti la chiesa del nostro amato paesello per portare il nostro vaso al sepolcro. Ora, purtroppo, questa tradizione l’abbiamo abbandonata ma è sempre bello ricordarla e farla conoscere a chi non ne sa l’esistenza.

Al prossimo!

Autore: Martina Di Carlo

Traduttrice specializzata in ambito tecnico: traduzioni meccaniche, turistiche, marketing, siti web, legali e giurate. Madrelingua italiana, amante delle lingue straniere. Sono una booklover patologica e amante della scrittura!

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