Nel corso del 2021, abbiamo avuto il piacere di dare spazio su questo blog a Giorgia Amantini, l’autrice di opere come “Vortice” e “Muro contro muro”. Gabriele l’ha intervistata a gennaio e io ho avuto il piacere di recensire uno dei suoi libri ad aprile. Da allora è passato un po’ di tempo e nel frattempo Giorgia ha scritto un nuovo libro. Si intitola “Il serpente bianco – Intrighi e passioni di fine ‘800” e ha subito attirato la mia attenzione. Per scoprire la genesi dell’opera ho proposto all’autrice una nuova intervista e lei ha accettato.
Ciao Giorgia e bentornata sulle nostre pagine! Parto subito con quella che sta diventando la mia domanda preferita per “rompere il ghiaccio”.
Com’è nata l’idea di scrivere “Il serpente bianco – Intrighi e passioni di fine ‘800”?
L’idea nasce principalmente dal personaggio maschile, Eugenio. Lui era già chiaro sin da subito nella mia mente, doveva essere in un certo modo e avere determinate caratteristiche. Ma avevo qualcosa di scritto anche relativamente al personaggio femminile, Rebecca, che avevo accantonato perché non riuscivo a inserirla nel giusto contesto. Una volta che ho unito i due e ho visto che funzionavano insieme, incastonandoli in una cornice melodrammatica ottocentesca, è nato non solo il prologo, ma tutto il romanzo. Come sempre, non ho cercato io l’idea, ma è stata lei ha cercare e a trovare me, dandomi il giusto spunto per far partire tutto l’intreccio. Che ha sorpreso anche me, mentre lo snodavo pagina dopo pagina.
L’esperienza maturata con “Vortice” e “Muro contro muro” ha reso più semplice la scrittura di questo nuovo libro? C’è qualche elemento di continuità (anche solo concettuale) tra le varie opere?
Ti dico sinceramente che scrivere ogni libro è stata un’esperienza completamente diversa rispetto all’altra. “Vortice” era un noir breve, ma intensamente dilatato; “Muro contro muro” raccontava tre momenti storici ben definiti, adagiandosi sulla scorrevolezza narrativa e sul fascino dell’ambientazione di sfondo. Quest’ultimo, invece, ha fatto emergere un altro lato di me, quello più intimo, più personale, anche passionale e melodrammatico. Ho voluto fortemente scrivere qualcosa che fosse ancora più fortemente mio, che rispecchiasse soprattutto il mio amore per la storia e per l’Ottocento. Quanto alla continuità, sì, c’è: tutti e tre i romanzi, a modo loro, raccontano sempre una storia d’amore basata su una scelta. Lo dico sempre: la scelta è la tematica ricorrente dei miei romanzi perché reputo questo fattore molto importante nella mia vita. Non sempre si può scegliere ciò che si vuole a causa di fattori contingenti che non te lo permettono. Ecco, in tutti e tre i romanzi, nel bene o nel male, i personaggi hanno il coraggio di fare le proprie scelte e di pagarne le conseguenze. In questo, a parte l’amore per la storia emerso già in “Muro contro muro”, tutti e tre sono concettualmente uniti. Grazie per avermi fatto questa domanda, è molto bello che tu abbia voluto sottolineare, volontariamente o meno, un elemento che ha un valore molto importante per me. Ti ringrazio ancora.
Il romanzo è ambientato alla fine dell’ottocento. È un periodo storico che conoscevi già bene o hai dovuto approfondirlo prima di tuffarti nella scrittura?
La fine dell’Ottocento (come tutto il secolo e anche altri prima di esso), la amo moltissimo. Proprio perché rappresenta un cambiamento, un’evoluzione, sia nel progresso tecnologico (con la Seconda Rivoluzione Industriale in atto) sia in quello sociale e psicologico delle persone (migliorano le condizioni di vita per molti, si vive nella bella époque, c’è una grande speranza per il futuro). Ma ciò che amo profondamente è il suo aspetto melodrammatico, i suoi valori etici e morali, i suoi principi rivoluzionari e allo stesso tempo antichi, anche la sua decadenza. Raccontare un amore così struggente e contrastato tra i protagonisti (e non solo) non poteva non avere una cornice storica così perfetta. Sicuramente, pur conoscendo bene il periodo storico, ho dovuto ritrovare alcuni elementi che non avrei potuto sapere senza almeno documentarmi. Non parlo molto della caratterizzazione dei personaggi, sia gli uomini che le donne di quell’epoca sono riuscita a fotografarli abbastanza bene, ma di tutto l’intreccio economico che ruota attorno ai personaggi stessi. Attualizzare il valore della lira dell’epoca non è stato facile, soprattutto non lo è stato nel dare un valore economico e finanziario alla moneta, visto che la famiglia Vivaldi è, alla base, una famiglia sì nobile, ma di banchieri. Devo dire che questo è stato l’aspetto dove ho dovuto documentarmi un po’ di più e che ha richiesto più volte una revisione.
Forse hai già risposto in parte a questa domanda, ma ci tengo a darti la possibilità di approfondire l’argomento: qual è il messaggio che vorresti far arrivare ai lettori con questo libro?
Mi ripeto, ma il primo messaggio che cerco di dare ai miei lettori (e anche a me stessa) è quello di avere il coraggio di compiere le proprie scelte. Questo tema è una costante nelle mie opere e continuerà a esserlo sempre, perché magari, nel corso della vita, quel coraggio lo mettiamo da parte temendo le conseguenze delle nostre azioni. Maturando e, quindi, anche scrivendo, ho capito che scegliere è sempre la scelta giusta da fare, anche se le conseguenze sono disastrose. Perché almeno non si rimane fermi, immobili, ad aspettare che le cose passino e cambino senza che noi facciamo niente per farle cambiare. Oltre a questo, ai miei lettori cerco sempre di lasciare anche molto del mio romanticismo e nel mio credere nonostante tute le difficoltà che una luce c’è sempre. E quella luce, oltre che da noi stessi, è sempre alimentata dall’amore, che muove sempre ogni cosa, indipendentemente dalla nostra volontà.
So che hai un forte legame con il teatro. La tua esperienza sul palco ha in qualche modo influenzato la tua attività come scrittrice?
Questa è una bellissima domanda perché mi permette di risponderti senza avere alcun dubbio al riguardo. Senza il teatro, non avrei mai scritto. Senza il teatro, non avrei mai fatto tutto ciò che ho fatto fino a oggi come persona e, senza il teatro, non sarei quello che sono oggi. Il palco ti cambia la vita, ti da una prospettiva di te stessa completamente diversa da quella di cui tu sei convinta, ti pone davanti allo specchio della tua anima e ti scava dentro facendo emergere aspetti di te che pensavi di non possedere. Quando scrivo sto bene, quando recito sto bene. E questo benessere è dovuto semplicemente al fatto che in quel momento non c’è niente che può impedirti di essere ciò che sei, di mostrare ciò che hai dentro, di far comprendere agli altri ciò a cui tieni di più al mondo. Recitare significa fingere. Questo è vero, ma soltanto in parte, perché in quella finzione siamo più veri di qualunque altro momento che viviamo nella realtà. Così come lo siamo quando scriviamo, perché ci mettiamo a nudo, facendo calare ogni sipario, donandoci completamente, abbandonandoci a noi stessi, lasciandoci cullare dalle nostre emozioni e passioni. Un vento che tira forte e che più tira, più ci indica la rotta senza farci smarrire. Grazie ancora per avermi dato l’opportunità di parlare di qualcosa che amo profondamente e che mi rende orgogliosa di ciò che sono e di ciò che ancora sarò.
Grazie ancora a Giorgia Amantini per aver preso parte a questa intervista!
Potete trovare “Il serpente bianco – Intrighi e passioni di fine ‘800” a questo link: https://www.booktribu.com/it/libri-in-vendita/libro-il%20serpente%20bianco-15035?fbclid=IwAR3v7xBEVcy9z9wVPOVQHkJM9m1DFhZhSRxJzl1ugDwjkP_reGQjZ0OXDpM