Eccomi qui tornata, dopo un sacco di tempo, con un nuovissimo articolo. Oggi parleremo di un argomento che mi avete richiesto in molti su Instagram (https://www.instagram.com/martinadicarlo_traduttrice/): qual è il percorso formativo ideale per un aspirante traduttore.
È chiaro che per intraprendere questa professione, un requisito fondamentale è un’ottima conoscenza della lingua e della cultura straniera e della lingua e della cultura madre. È un requisito importante, sì, ma non l’unico. Tradurre non significa conoscere a memoria la regola grammaticale di una lingua o saper utilizzare bene un vocabolario. Tradurre significa innanzitutto comprendere, capire qual è il messaggio che il testo fonte vuole trasmettere al pubblico e riportarlo esattamente (che non significa letteralmente) in quello tradotto. Cambia non solo la lingua del pubblico di destinazione, ma anche la cultura. Dunque è fondamentale che il traduttore conosca molto bene usi e costumi del pubblico target. Questo è uno dei motivi per cui il traduttore si dedica esclusivamente alla traduzione passiva, cioè dalla lingua straniera a quella madre.
Il percorso traduttologico è un percorso arduo e molto lungo: noi traduttori non finiamo mai di studiare, siamo in continuo aggiornamento e ogni qualvolta ci troviamo davanti un testo dobbiamo sviscerarlo, dobbiamo andare alla ricerca delle parole chiave, dei termini tecnici, delle espressioni idiomatiche, di tutte quelle “stranezze” che nasconde.
Mi scrivono in tanti, confusi, perché non riescono a capire quale percorso sia più adatto per diventare un traduttore professionista. Confusi perché in molti, giocando sul fatto che sono bilingue, anche non avendo avuto una formazione in materia, si millantano “traduttori”. ASSOLUTAMENTE NO! Il traduttore professionista ha studiato, conosce molto bene le tecniche e gli attrezzi del mestiere e soprattutto è specializzato in determinati settori, non traduce tutto quello che gli capita sotto mano e a tariffe improponibili.
Molti anni fa, per diventare traduttore o interprete non serviva la laurea. Dopo il liceo, così come funzionava per gli infermieri, si procedeva con un corso intensivo in materia e, dopo lo svolgimento dell’esame finale, veniva rilasciato l’attestato (almeno così racconta mia zia). Ora le cose, fortunatamente, sono cambiate. Il traduttore o l’interprete deve aver avuto un percorso di formazione degno di nota alle spalle. Si può decidere di conseguire la laurea triennale e poi svolgere direttamente il master, terminare il percorso universitario (3 + 2) e poi specializzarsi o ancora conseguire la triennale, svolgere il master e poi conseguire anche la laurea magistrale. Non esiste, insomma, un percorso univoco per diventare un traduttore professionista.
Posso dirvi però che, secondo la mia esperienza, il percorso ideale, quello più sensato è:
- liceo linguistico/scientifico linguistico/turistico per familiarizzare con la lingua straniera;
- laurea triennale in Lingue e Mediazione Culturale (L-12). Iniziate a fare amicizia con il mondo traduttologico, iniziate a conoscere le tecniche base del mestiere, iniziate a fare pratica tramite l’assegnazione “dei compiti a casa”;
- volontariato. Qui mi sentirei di inserire l’attività di volontariato (contemporaneamente al percorso universitario), in quanto vi dà la possibilità di dedicarvi interamente al mettere in pratica la teoria acquisita. Sono numerose le associazioni di volontariato per noi traduttori: Peacelink, Translators without Borders, Global Voices, TED;
- laurea magistrale in Lingue Straniere per l’Impresa e la Cooperazione Internazionale (LM-38). La laurea magistrale, pur non essendo obbligatoria, è importante conseguirla prima del master. In primis perché vi dà la possibilità di accedere ai concorsi, cosa che la triennale non vi permette e in secundis perché completa il vostro percorso di studi e affina le vostre competenze. Il master, nonostante il parolone fa figo, non vi dà la preparazione necessaria per intraprendere il mestiere. Serve esclusivamente a concludere un percorso: molte cose le danno per scontate, danno per scontato che voi conosciate i CAT per esempio, che sappiate fare una ricerca terminologica, che conosciate i dizionari delle collocazioni;
- Master (io ho frequentato la SSIT di Pescara). Come dicevo, il master serve a concludere il percorso di studi e soprattutto a specializzarsi in determinati settori di lavoro. Ti aiuta a capire quale sarà il tuo pubblico target, in quali settori sei più ferrato/a, quelli che ti rendono felice ogni qualvolta li senti nominare.
Spero che l’articolo vi sia stato utile.
Al prossimo!