Benvenuti! In quest’intervista, Valerio Boffardi, Life & Career Coach conosciuto su LinkedIn, ha deciso di partecipare per esporsi su una tematica particolare, ma attuale: il trovare la propria vocazione lavorativa, e il far fronte al credere di avere sbagliato percorso, trovando il coraggio e la forza di cambiare direzione.
Per cui Valerio, ti ringrazio molto per aver accettato di partecipare. Ti chiedo subito, cosa ti ha portato a diventare un Career Coach? Che situazioni hai vissuto?
La mia storia ha un tratto in comune con molte persone che si rivolgono a me: la mancanza di un solido percorso di orientamento durante gli anni scolastici. Fin da piccolo ho sviluppato passioni molto diverse tra loro: la prima, la scrittura – ancora oggi mi piace scrivere racconti brevi – poi i videogiochi e, ancora, la lettura di tantissimi generi diversi – fantascienza, fantasy, gialli – ma un ciò che a scuola era evidente era la mia propensione per la matematica e la fisica. Così, mi sono iscritto alla facoltà di ingegneria che ho portato a termine con successo, ma non mi ha mai rappresentato davvero. Tornando indietro con la mente, mi rivedo nei corridoi della scuola durante l’intervallo o dopo le lezioni, ad ascoltare le confidenze sussurrate di compagni e compagne. Ero il confidente di tante persone, ma certo questo non si vedeva dalla pagella!
Durante gli anni dell’Università, per pagarmi gli studi, avevo avviato un’attività di lezioni private e, una volta terminata la specializzazione in ingegneria, ho mollato la carriera da ingegnere per aprire partita IVA e rendere più professionale il mio servizio di tutoraggio, lavoro che ho svolto per tantissimi anni.
Durante questi anni, vengo a contatto con tanti giovani disorientati rispetto alle scelte di vita e così, finalmente, trovo la mia voce interiore: mi sono laureato in scienze e tecniche psicologiche e ho sviluppato un metodo per aiutare le persone a ‘correggere la rotta’ nella vita, così come successo a me. Inoltre, visto che la sessualità è parte essenziale dell’essere umano e la capacità di gratificarsi e concedersi il piacere è una molla potente per il cambiamento, mi formo anche come sessuologo.
Essendomi trovato in una situazione in cui avevo scoperto solo col tempo un forte interesse verso l’informatica, e lavorando invece in tutt’altro campo, non ho potuto fare a meno di notare i tuoi contenuti. Per chi vive in una situazione lavorativa insoddisfacente e ha paura di cambiare, vuoi per l’età, vuoi per la l’apparente stabilità, quali consigli ti sentiresti di dare? Come credi si debba affrontare la paura di rinunciare a un contratto che, magari, sembra lì per lì buono, per fare un salto nel vuoto?
Il primo passo da fare è nella propria mente, riformulando il cambiamento e trovando la strategia più adatta alle proprie esigenze. Ad esempio, ristrutturare l’idea di ‘salto nel vuoto’: chi lavora con me non fa mai un salto, anzi, io strutturo sempre i percorsi in modo che i clienti non lascino il lavoro attuale ma comincino a costruire un’alternativa senza rinunciare all’altra. La metafora che mi piace usare è: ‘non saltare nel vuoto, ma costruire un ponte’. Questo lo si fa lavorando su tre aspetti in contemporanea: i pensieri, le emozioni e i comportamenti. Se integriamo questi tre livelli (cosa penso, come mi sento, come agisco) arriveranno le idee potenti, e la paura lascerà lo spazio all’entusiasmo!
Ti racconto un caso recente che mi ha emozionato particolarmente – non dirò il nome per conservare l’anomimato.
Un giovane uomo che, a quarant’anni, mi ha contattato perché si sentiva ingabbiato nel settore delle assicurazioni.
Durante il primo incontro diceva – come succede a molti – di non avere idea di cos’altro fare, ma di sentirsi spento rispetto alla propria professione.
In realtà la scintilla dentro di lui già c’era e abbiamo dovuto solo riaccenderla: il suo grande sogno è vivere in Giappone e lavorare lì, in particolare nella formazione (gli piacerebbe insegnare l’italiano).
Anziché saltare nel vuoto, ha accettato un lavoro in smart working (ancora nel suo settore) che gli permetterà di andare in Giappone e, una volta lì, di continuare a formarsi per poi lavorare nel settore che ama.
Ci sono degli step da programmare, non funziona così: lascio il lavoro A e faccio il lavoro B. Ci sono delle professioni intermedie, è un processo di scoperta continuo.
Ora è ancora tutto in fase di progettazione, ci sono tanti aspetti complessi (il visto, la casa, etc.) ma appena ha riscoperto le sue risorse interiori ha acquisito la capacità di non guardare agli ostacoli come blocchi insormontabili, ma come problemi da risolvere.
Quali sono le principali insoddisfazioni lavorative che hai avuto modo di ascoltare dai tuoi clienti?
Sembra paradossale, ma nessuno mi ha mai parlato di soldi. Il ‘fil rouge’ che unisce tutti quelli che vogliono cambiare lavoro è la noia, la monotonia, l’idea di star sprecando la propria vita in giornate tutte uguali. Le persone vogliono dare un senso alla propria vita, vogliono impiegare il proprio tempo in qualcosa che abbia un significato profondo per la propria mente. Solo che, per come veniamo educati, cresciamo pensando che il lavoro debba essere proprio così: faticoso, noioso, mortificante. Eppure, è possibile guadagnarsi da vivere anche facendo cose che ci piacciono e ci rappresentano.
Credi sia troppo tardi formarsi da capo quando si è su tutt’altro campo? Oppure è sempre possibile riprendere a studiare e ricominciare?
Certo che ci si può sempre formare! Se siamo i primi a pensare di essere ‘troppo vecchi per…’ sicuramente il mondo ci vedrà vecchi! Come dicevo prima, il cambiamento deve partire dalla nostra testa. Certo, un occhio alla realtà ci vuole sempre: è risaputo che moltissime aziende, in alcuni settori, tagliano le gambe dopo una certa età. Ma questo nei miei percorsi non succede: spesso, infatti, chi vuole cambiare lo fa per lasciare il lavoro da dipendente e diventare freelance e, in questo campo, l’età non ha nessun significato, è solo un blocco che crea la nostra mente per proteggerci dalla paura di fallire.
Sì, sono d’accordo.
Io adoravo (e adoro) l’informatica, ma mi tratteneva vedere “muri di codice” o software complicati che temevo non sarei mai riuscito a imparare a usare. E invece ce l’ho fatta.
Ritieni infine che “ogni esperienza lavorativa sia buona” (nel senso di trasportare soft e hard skills da un lavoro all’altro)? Per te com’è avvenuta questa transizione?
Tutto ciò che facciamo viene elaborato dalla nostra mente e gli viene attribuito un significato. Se vediamo alcune esperienze come ‘fallimentari’ perché non ci hanno dato soddisfazione, sarà impossibile per noi sfruttarne il potenziale in un altro lavoro. La bella notizia è che la nostra mente è elastica e i significati degli eventi passati non sono fatti di cemento armato, possiamo cambiarli! Un buon esercizio è, una volta trovato il nuovo progetto lavorativo, chiedersi, per ogni esperienza passata: “cosa ho imparato in quest’occasione che può essermi utile nel nuovo lavoro?”
Ad esempio, dal mio passato come tutor privato di matematica, ho imparato a non frustrarmi mai quando le persone che aiuto hanno dei momenti di blocco, ma ad accoglierli soprattutto in quei momenti: sapessi quanto è utile nei percorsi che propongo adesso, dove è normale che ci siano dei momenti di scoramento! Anzi, far vedere che il blocco è un messaggio della nostra mente molto utile per capire dove andare, rende il percorso ancora più potente.
Dall’ingegneria, mi porto dietro la capacità di scomporre un macro-problema in tante piccole parti, e questo mi aiuta a lavorare con i miei clienti in maniera chirurgica.
Come vedi, tutto torna nella vita!
(nd: Da informatico, adoro il commento sullo scomporre il macro-problema in piccole parti)
Valerio, ti ringrazio molto per le risposte, e invito i lettori a seguirlo sui seguenti canali social 😄