Ho iniziato a scrivere quando avevo 15 o 16 anni. Ora ne ho 32. Fate un po’ i conti: vuol dire che la mia adolescenza, la mia crescita e una buona parte della mia anima sono rimaste infilate tra le pagine di quelle storie (di cui sto attualmente pubblicando una serie di riassunti). Storie che hanno visto la loro fine a dicembre 2019, quando io e chi condivideva con me questo universo abbiamo deciso che era tempo di mettere un punto.
Poi, il 2020. Quell’anno in cui tutto il mondo è andato a pezzi. La persona con cui condividevo il lavoro non c’è più, e, di riflesso, io mi sono ritrovato a blindare quelle storie “a forza”, a metterle sotto chiave nella mia mente, come se fossero una parte di me troppo dolorosa da toccare.
Ma la verità è che lì dentro c’erano pezzi di cuore, risate, rabbia, e sì, anche lacrime. Wolf Lonnie, Lilith Light, Saria Lonnie, Lucious Lowiss, Sean O’Quinn, Mihael Chamilion, Ayane Taubey, Thomas Lonnie, Blade Swordmaster, Gabrielle Lonnie… non erano solo nomi. Erano il mio modo di vivere le emozioni senza filtri. Erano un prolungamento di me stesso, forse anche un modo per imparare chi ero davvero.
Il problema? Quando ti strappi di dosso una parte di te, non resta solo il vuoto. Resta la sensazione che nulla abbia lo stesso sapore. Da scrittore, mi sono ritrovato improvvisamente incapace di dare la stessa intensità alle parole. Le nuove storie mi sembravano parzialmente fredde, o comunque non completamente cariche come volevo, come se qualcuno avesse spento un interruttore interno.
Eppure, recentemente, qualcosa si è sbloccato. Ho ripreso in mano quei vecchi capitoli, li sto rileggendo con la mia fidanzata, e persino aggiungendo nuove storie. E sapete una cosa? È come se un pezzo di me fosse tornato al suo posto.
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