Scrivere un saggio su Final Fantasy X ft. Federico Maestri

Pochi giorni fa vi abbiamo parlato di “Narrare il sogno degli intercessori“, un ottimo saggio incentrato sugli elementi narrativi di Final Fantasy X. Oggi andremo a fare quattro chiacchiere con Federico Maestri, autore dell’opera e grande estimatore del genere fantasy a 360 gradi.

Ciao Federico e grazie per aver accettato di partecipare a questa intervista! Per rompere il ghiaccio ti faccio una domanda piuttosto classica: come ti è venuta l’idea di scrivere un saggio sugli aspetti narrativi di Final Fantasy X? È un progetto che volevi realizzare da molto tempo?

Era il 2019, stavo scorrendo i commenti di un post sulla pagina Facebook di FFOnline, in particolare un post su Seymour. Lì ho visto tutta una serie di opinioni sul personaggio che mi hanno fatto ricordare come, fin dai tempi dei forum, ci sia sempre stata una certa confusione nel modo di valutare le storie dei videogiochi. Qualcuno sembrava non aver chiaro il concetto di antieroe, qualcun altro quello di “personaggio grigio”, altri ancora si erano persi pezzi della storia lungo la strada.

È qui che mi è venuto in mente di mettere per iscritto qualcosa che parlasse di come si legge un’opera, perché credo sia importante che a prescindere dal gusto e dalle opinioni personali si debba raggiungere, come community e anche come consumatori, un metro quanto più comune possibile per confrontarsi argomentando efficacemente.

Chiaramente ciascun giocatore cercherà cose diverse dai titoli che gioca, ma per capire meglio le proprie sensazioni bisogna riuscire a chiamarle per nome e soprattutto con il nome corretto. Questo tipo di nozioni non sono in possesso di tutti, tant’è vero che spesso si sente parlare di “buchi di trama” in riferimento a cose che non lo sono affatto o, al contrario, si sente definire ben scritto ciò che invece, magari, è solo messo in scena in modo avvincente e che giudichiamo più valido di quanto non sia, prede dell’emotività: ma il “cosa accade” non è il “come accade” e non è nemmeno il “come viene raccontato”.

Non è una questione di intelligenza né di istruzione del singolo giocatore, è dovuto al fatto che il videogioco non ha ancora una grande storia in termini di studi e c’è ancora molto lavoro da fare per raggiungere quella levatura. Dato che proprio Final Fantasy X è un ottimo esempio di scrittura e dato che è stato uno dei titoli per me più significativi, ho deciso di scrivere su quello.

Ci sono altri capitoli della saga, che secondo te, potrebbero prestarsi a un’operazione del genere? So che negli ultimi anni vari fan hanno lamentato un calo della qualità degli ultimi titoli, soprattutto a livello narrativo. È una posizione che condividi? L’evoluzione della saga ti sta piacendo? E cosa ti aspetti da Final Fantasy XVI?

Il mio testo nello specifico parla di come un concetto viene sviluppato nelle vesti dei personaggi, incaricati di essere portatori di un dato messaggio da veicolare grazie alla loro storia personale e ai loro cambiamenti di visione del mondo. Final Fantasy non sempre offre la possibilità di fare questo tipo di analisi: per quanto si tratti di una colonna importante della storia del videogioco e della narrativa nei videogiochi, infatti, rimane un franchise che è stato spesso diretto a ragazzi molto giovani e ha quindi offerto in genere eroi che semplificavano forse troppo i temi che avrebbero voluto affrontare.

Non sono in grado di pronunciarmi sui capitoli recenti: dopo Final Fantasy X-2 e Final Fantasy XII ho deciso che il corso Square-Enix non andava nella direzione di ciò che interessa a me. Non si tratta di un cambiamento mal vissuto, Final Fantasy è SEMPRE cambiato nel corso della sua storia, si tratta di aver notato che in quella specifica fase di cambiamento si era iniziato a tralasciare quello che interessa a me.

La difficoltà nell’approcciarsi a un Final Fantasy per discutere di temi seri in modo serio, però, non è sopraggiunta negli ultimi anni, è fisiologica della saga: i capitoli del “primo boom”, dall’1 al 4, sono storie che andavano bene negli anni della loro uscita ma che oggi non porterebbero chissà quale contributo al vasto panorama della narrativa fantasy dei videogiochi. Va già meglio ma non in modo risolutivo con i grandi classici dell’epoca PSX, tipicamente indicati come quelli dell’epoca d’oro. Il settimo capitolo è abbastanza maturo ma ha una narrazione ancora molto “old school”, abbastanza semplice, quello che vuole dire è autoevidente e non ha troppo senso approfondire.

L’ottavo capitolo propone molti temi lasciandoli sistematicamente in sospeso, è il Final Fantasy che meno va a fondo di ciò che vuole dire anche se potrebbe dire tanto: questo potrebbe renderlo interessante da trattare, ma per quanto io lo apprezzi rimane un capitolo dal potenziale colpevolmente inespresso e i vuoti sono così ampi che il rischio di metterci troppa arbitrarietà è enorme. Il nono, infine, contiene temi anche pesanti e impegnativi ma trovo sia castrato dalla ricerca dell’atmosfera fiabesca, tra finali lieti un po’ stiracchiati e un voler essere buono e tenero anche dove avrebbe beneficiato di un po’ di severità, inoltre i personaggi non cambiano quanto mi sarebbe piaciuto.

Final Fantasy X è senza dubbio il più adulto: affronta questioni affascinanti in modo diverso per persone giovani o più adulte, oserei dire che ha più livelli di lettura in base all’età alla quale lo si gioca, e si fa portatore di una lezione di emancipazione dall’influenza altrui che le persone al giorno d’oggi possono apprendere in molte fasi diverse della propria vita. Per questo credo non solo che sia il migliore sul piano della narrativa ma anche che sia e rimarrà quello invecchiato meglio.

Da Final Fantasy XVI non so bene che cosa aspettarmi: mio malgrado non ho molta fiducia nel modo di sceneggiare degli autori del “nuovo corso”, tuttavia devo dire che il trailer e il materiale presente sul sito ufficiale sembrano promettere più coraggio e anche un minor fattore “qualcuno pensi ai bambini”. Sono curioso, Final Fantasy ha più bisogno di crescere di quanto ai fan piaccia ammettere e anche di capire che cosa vuole diventare. Se il punto è vendere ai ragazzini e ai clienti fidelizzati è perfettamente legittimo e li comprendo benissimo, è il momento storico perfetto per puntare su questo, se invece vogliono che si torni a parlare di Final Fantasy come di un’Opera con la “O” maiuscola ci sono diverse cose che dovrebbero essere riviste.

Nei videogiochi una narrazione al 100% lineare della trama (un po’ come avviene nei libri) è quasi impossibile, perché l’interattività offerta dal medium permette a ogni giocatore di approcciarsi al titolo in modo diverso (entro certi limiti). In Skyrim, per esempio, è possibile scegliere di ignorare per molto tempo le quest principali e dedicarsi solo all’esplorazione o alle missioni secondarie, dando all’esperienza un sapore diverso. Un caso ancora più particolare è quello di Dark Souls, dove poco o nulla viene narrato in modo diretto e il giocatore deve essere bravo a mettere insieme le poche informazioni disponibili per ricostruire la storia di Lordran. Questo fattore ha un peso rilevante in Final Fantasy X? Perdendosi per strada alcune missioni secondarie o dei dialoghi opzionali con i personaggi, il giocatore rischia di alterare la sua percezione di quanto narrato e perdere per strada delle sfumature importanti?

Il problema di far percepire al giocatore quanto si desidera è molto presente e anche poco risolvibile. Nel game design si distinguono meccaniche, dinamiche ed estetica: per dirla molto semplicemente, la meccanica è la regola, cosa puoi fare, la dinamica è l’applicazione della regola, cioè come puoi farlo, mentre l’estetica è l’esperienza finale, cioè quello che il giocatore vivrà. Il designer ha totale controllo sulle meccaniche, ha parziale controllo sulle dinamiche ma non ha nessun controllo sull’estetica, che dipende da troppe variabili anche non numeriche.

Ciascun giocatore avrà i suoi gusti, le sue idee su come muovere l’avatar e anche schemi valoriali e corde emotive uniche, quindi arriva un punto in cui il game designer deve “rassegnarsi”, fare bene il suo lavoro e accettare che l’esperienza del giocatore sarà nelle mani del giocatore.

Final Fantasy è un videogioco story-driven e il centro dell’esperienza proposta è il seguire la storia. Anche se in certi momenti della trama si può girovagare e allungare il brodo in modi anche eccessivi, il gioco procede lungo tappe molto definite, una serie di eventi in genere non alterabili dalle scelte del giocatore. In questi termini, Final Fantasy ha più controllo sui ritmi ai quali il giocatore riceve informazioni e rischia meno di perdere pezzi per strada.

Chi realizza un videogioco open world dovrà pensare a un modo diverso di raccontare e anche fare molta attenzione a dove pone elementi che ritiene fondamentali per la comprensione del mondo di gioco, sotto questo profilo potremmo dire che in un open world coinvolgere con la storia sia molto più complesso e non a caso non si punta su quello: i fantasy open world più di successo hanno “quest principali” piuttosto essenziali e puntano invece molto sulla lore (come Dragon Age) o sulla grande possibilità di esplorazione e più controllabili side quest (come The Witcher 3).

Ci sono alcuni aspetti della trama di Final Fantasy X che ritieni poco sviluppati e che ti sarebbe piaciuto vedere approfonditi?

Credo che Final Fantasy X abbia sviluppato gli aspetti che occorrevano per raccontare ciò che intendeva raccontare. Ci sono sicuramente elementi di Spira che non sono stati approfonditi, penso ai lunioli, all’Oltremondo, all’epoca precedente a Sin, ma dal momento che non erano elementi utili a quanto narrato trovo non sia un difetto, bensì dimostrazione di grande maturità autoriale. Unica possibile eccezione è la dinamica di discriminazione degli Albhed, mi avrebbe fatto piacere – e trovo non avrebbe guastato il resto – capire meglio come Yevon “sottrasse” l’inno ai suoi oppositori e come di fatto è nata l’etnia Albhed. Sono convinto però del fatto che una storia debba essere asciutta e non perdersi in divagazioni. Quello sì, sarebbe distruttivo per il coinvolgimento, e dato che Final Fantasy X nel suo modo di narrare è spesso minimalista, preferendo le sensazioni agli spiegoni, preferisco che sia andata così.

Parlando del genere fantasy in generale, credi che negli ultimi anni la percezione del pubblico nei suoi confronti sia cambiata? Serie come Game of Thrones e, in misura minore, The Witcher hanno aiutato a sdoganarlo una volta per tutte o ci sono ancora dei passi avanti da fare per renderlo meno di nicchia?

La percezione del pubblico è molto cambiata a partire dall’adattamento cinematografico de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, un adattamento che trovo fenomenale perché dimostra come per mantenere la sostanza di un’opera quando la si traspone su un altro medium si debba lavorare moltissimo sulla forma. Game of Thrones ha dato la spallata finale, chiunque ha guardato almeno alcune puntate della serie, da chi prestava effettivamente attenzione a chi la teneva in sottofondo mentre cucinava o riordinava casa. Credo però che la strada sia ancora lunga, perché è stato Game of Thrones, non il fantasy, a coinvolgere, e lo ha fatto con una notevole dose di realismo. Quando si torna nel fantasy più classico e “ordinario”, mi sembra che l’opinione generale sia ancora quella di una sciocchezza per nerd. In questo senso, The Witcher non credo ricoprirà un ruolo paragonabile a Game of Thrones (soprattutto se non riesce a darsi un ordine, la prima stagione è stata mediocre sotto parecchi punti di vista). Quello che possiamo dire, che è già molto, è che ora le persone sanno cosa il fantasy sia e sanno che a seconda del singolo prodotto può esserci qualcosa di molto interessante.

Quali sono state le tue principali fonti di ispirazione durante la stesura di “Narrare il sogno degli intercessori”?

La tipologia di testo che ho voluto scrivere è sulla falsariga de “L’evoluzione del serpente”, un saggio su Metal Gear Solid che uscì sulla collana Ludologica ormai molti anni fa (non era ancora uscito MGS3: Snake Eater). Purtroppo l’autore, Bruno Fraschini, è venuto a mancare molto giovane, ma con quel libro ha davvero dimostrato cosa significa approfondire un videogioco: ripercorrerne le tappe, individuare i suoi aspetti vincenti e far notare cose che, giocando, non si erano notate perché erano fra le righe o perché riguardanti nozioni difficili da avere.

Altri approfondimenti che ho tenuto in forte considerazione sono quelli di Francesco Toniolo sui Souls, “Queste anime oscure” e “Le nuove anime oscure”. Come spesso afferma Wesa, il creator che da anni seguo di più, “chi sa solo di videogiochi non sa nulla di videogiochi”. Non si può parlare di videogiochi, di narrativa, di contenuto mediato da questo medium se non si hanno altri orizzonti e riferimenti culturali. Chi per tutta la vita ha giocato e basta ma ha letto e studiato poco, è quasi certamente qualcuno che non ha idea di quale metro usare per parlare di videogiochi. Francesco Toniolo è docente di semiotica, conosce i linguaggi multimediali e nei suoi libri si vede chiaramente come un videogioco può essere letto con una preparazione più estesa alle spalle. Colgo l’occasione per ringraziarlo anche qui, è stato molto disponibile nell’aiutarmi a orientarmi su fonti e accorgimenti vari. Le altre ispirazioni sono quelle contenute nei manuali di sceneggiatura e narratologia, tema al quale mi sono appassionato negli ultimi anni.

Perché hai preferito optare per il self publishing invece di rivolgerti a una casa editrice? Ritieni che ci siano dei vantaggi a pubblicare da soli il proprio libro? Hai avuto qualche difficoltà con la piattaforma di Amazon?

Credo che il prestigio derivante dal pubblicare con un editore tradizionale sia ancora molto superiore, non tanto per la quantità di figure professionali coinvolte quanto perché si tratta di un riconoscimento del lavoro che proviene da terzi.

L’autopubblicazione, di fatto, inizialmente è autoreferenzialità: dichiari da solo che il tuo libro merita di essere pubblicato e il rischio è di essere solo un po’ arroganti. Nel mio caso, ho corso questo rischio perché scrivere non vuole diventare il mio lavoro quanto piuttosto un hobby. Final Fantasy X, poi, ha molti fan ma è comunque uscito da 20 anni, quale editore avrebbe ritenuto di poter guadagnare da un saggio del genere? Non valeva quindi la pena di rapportarmi a soggetti che avrebbero probabilmente rifiutato il testo, che avrebbero avuto comunque tempi molto lunghi e che, forse, mi avrebbero chiesto soldi in anticipo come è uso comune fra i piccoli editori.

Amazon in questo senso si riconferma un modello di business vincente: nel giro di un pomeriggio chiunque può pubblicare un proprio scritto in ebook e/o in cartaceo tramite un editor piuttosto pratico, le royalties lasciate all’autore sono ben maggiori di quelle ottenibili sul mercato tradizionale ed essendo le copie stampate solo quando devono essere vendute non c’è giacenza e quindi non sono richiesti costi a carico dell’autore. Per le mie esigenze era la scelta migliore.

Se però avessi inteso fare della scrittura la mia principale attività, avrei probabilmente dato tempo al tempo e avrei esplorato le vie più “istituzionali”, non fosse altro che per il contributo enorme che avrei potuto ottenere da specialisti della revisione, dell’editing e altro, contributo del quale difficilmente un autore che voglia davvero arrivare ad alti livelli con una sua opera può fare a meno.

Grazie ancora per il tempo che ci hai dedicato, Federico! Potete trovare “Narrare il sogno degli intercessori” su Amazon (in formato Kindle e cartaceo): https://tinyurl.com/zwkv5esr

Autore: Alessandro Bolzani

Mi chiamo Alessandro e sono l'autore del romanzo urban fantasy "I Guardiani dei Parchi". Nella vita faccio il giornalista, ma qui su Wordpress gestisco il blog "Pillole di Folklore e Scrittura", dove parlo di libri, mitologia, credenze popolari e, in generale, di tutto ciò che mi appassiona.

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