Introduzione al libro: “Memorie dal sottosuolo” è un romanzo di Fëdor Dostoevskij pubblicato per la prima volta nel 1864 sulla rivista Epocha, diretta dall’autore stesso. È diviso in due parti: la prima è intitolata Il sottosuolo, la seconda A proposito della neve fradicia. Il tema principale della prima parte dell’opera, il sottosuolo, verrà usato frequentemente nei futuri lavori di Dostoevskij; le Memorie, infatti, precedono i grandi romanzi.
PRIMA PARTE: IL SOTTOSUOLO
Che cos’è, allora, il sottosuolo? La riflessione filosofica del personaggio principale del romanzo, un uomo di quarant’anni, debole, malato, verge proprio su questo. Egli per tutta la vita ha studiato il comportamento degli uomini, elaborando una vera e propria critica sociale. Le innovazioni scientifiche, il cui scopo è il benessere dell’uomo, non sono sufficienti nella società; l’essere umano ha bisogno della sofferenza. Il dolore è l’unico modo per comprendere cosa sia la felicità. Se la vita non avesse riscontri negativi, non si potrebbe distinguere il bene dal male, semplicemente perché sarebbe tutto piatto, senza difficoltà.
Durante la riflessione, il protagonista si chiede se, ipoteticamente, in una società governata da leggi matematiche, l’uomo potrebbe davvero agire secondo ragione. Tutto ciò sarebbe idilliaco, non ci sarebbero più spargimenti di sangue e l’uomo perseguiterebbe soltanto il bene. È qui che, però, viene introdotto il tema della volontà. L’essere umano non agisce mai solo secondo ragione, ma secondo il libero arbitrio, che distingue la razza umana dalle altre specie, cioè la propensione alla sofferenza e all’irrazionalità, dettata unicamente dalla volontà, per la quale è anche disposto a rinunciare ai propri vantaggi.
“…l’uomo, sempre e ovunque, chiunque fosse, ha amato agire così come voleva, e non come gli ordinavano la ragione e il tornaconto; infatti si può volere anche contro il proprio tornaconto, anzi talvolta decisamente si deve”.
Il protagonista, uomo intelligente ma profondamente invidioso, preferisce così ritirarsi dalla vita sociale, cioè rintanarsi nel sottosuolo.
Perché, però, l’uomo andrebbe contro ai propri interessi? Dostoevskij riesce a descrivere la motivazione con un’elegante frase:
“…salvaguarda la cosa più importante e preziosa, cioè la nostra personalità e la nostra individualità”.
SECONDA PARTE: A PROPOSITO DELLA NEVE FRADICIA
La seconda parte dell’opera è un flashback risalente a 16 anni prima, cioè quando il protagonista aveva poco più di 24 anni. In questo periodo è un impiegato della burocrazia del Paese, continuamente assalito dai dubbi, dal senso di inadeguatezza e inferiorità. Si ritiene migliore degli altri, tuttavia ha la sensazione di essere guardato con disgusto dai suoi colleghi. A volte arriva perfino ad invidiarli, nonostante sia convinto di essere intellettualmente superiore.
“S’intende che odiavo tutti gli impiegati della nostra cancelleria, dal primo all’ultimo, e li disprezzavo tutti, ma nello stesso tempo in qualche modo li temevo. Capitava che a un tratto li giudicassi perfino superiori a me”.
Successivamente prova anche ad affermarsi in società, ricominciando a frequentare degli ex compagni di scuola. Questi però non hanno alcun interesse a incontrarlo e, nonostante si senta inferiore, insiste affinché possa partecipare a una cena con loro. Qui alza il gomito, si rende ridicolo e viene allontanato.
Infine conosce una prostituta, Liza, le mente convincendola di essere un benefattore e di provare dei sentimenti per lei. La invita a fargli visita a casa. Quando la giovane si presenta da lui, la umilia facendole violenza e lasciandole con disprezzo del denaro, che la ragazza rifiuta fuggendo in lacrime. Questa vicenda segna il culmine dell’abiezione e della frustrazione dell’uomo del sottosuolo: egli sfoga tutta la rabbia dei suoi fallimenti su una persona socialmente inferiore a lui.
La seconda parte dell’opera sembra così essere una giustificazione dell’isolamento sociale del protagonista, dell’orgogliosa sovrastima di se stesso in antitesi con l’incessante senso di inferiorità, che lo logora e lo spinge a nascondersi nel sottosuolo.
INTERPRETAZIONE PERSONALE
L’opera pone molti quesiti da lungo elaborati dai filosofi del passato. Cos’è, dunque, la felicità? È sempre bene agire secondo ragione con l’unico fine la felicità stessa? O forse è il cammino stesso della vita il vero obiettivo e non la fine, cioè la morte?
Secondo l’autore, la vita è costellata da successi, fallimenti, dubbi e angosce. Siamo attratti dalla felicità perché la consideriamo la fine delle nostre azioni, il bene supremo. Ma una volta raggiunta, che cosa dovremmo farne? Il dolore e la sofferenza sono così il tema centrale nella vita di ognuno. È una condizione necessaria e ricorrente, senza la quale non potremmo sapere cosa è il bene. La dinamicità della vita risiede in questo: provare dolore e agire secondo ragione e volontà affinché venga raggiunto il benessere. Ma allora sopraggiungerebbe un altro dolore, indispensabile per rimetterci in moto.
Bisogna così interrogarsi, come lo stesso autore scrive:
“…In effetti, ecco che pongo una domanda oziosa da parte mia: che cos’è meglio: una felicità a buon mercato o elevate sofferenze? E allora, che cos’è meglio?”.