[A cura di Raffaello Glinni]
Quando si pensa a “Cenerentola”, “La bella addormentata nel bosco”, “Il gatto con gli stivali”, “Hansel e Gretel”, “Raperonzolo”, “La fontana dell’eterna giovinezza”, ma anche a “Il Signore degli Anelli”, “Shrek”, ecc. si pensa naturalmente ai fratelli Grimm e Perroult.
In realtà tutte queste e altre fiabe vennero scritte nella versione originale e per la prima volta da un nobile napoletano, Giambattista Basile (1566-1632), nel libro “Lo Cunto de li Cunti”, pubblicato nel 1634, una raccolta di 50 fiabe completata in Basilicata e Campania nel 1630, precisamente tra Acerenza e Giugliani, poiché ivi ebbe a soggiornare lo scrittore, allorquando prese servizio per il Duca di Acerenza, Galeazzo Pinelli.

Il testo, narrato in dialetto meridionale, prevedeva anche la recita in pubblico delle fiabe raccolte in cinque giornate (struttura poi ripetuta dai fratelli Grimm); il tema di fondo è il mutamento di status, come ad esempio in Cenerentola, dove si passa da una condizione di agio a una di povertà per poi ritornare a quella iniziale.
Bisogna mettere in evidenza che il Basile prese spunto proprio dalle tradizioni popolari lucane e campane, che lo stesso era solito raccogliere durante i suoi soggiorni. Invece, per quanto riguarda Cenerentola (chiamata La gatta Cinerentola) fece riferimento all’origine cinese della fiaba.
In effetti, la Lucania appariva agli occhi dei visitatori un luogo incantato. Ecco cosa diceva l’enciclopedia Treccani sulla Basilicata nell’edizione del 1930: “Un mondo vasto di leggende sull’antichità dei paesi, con eroi eponimi, e fate, orchi, regine, re, maghi, palazzi incantati; la comparsa degli spiriti e del monaciello popola fantasie e racconti orali; diavoli che costruiscono ponti giganteschi, o sovrappongono montagne e montagne”.
E non può sfuggire il fatto che sempre in Lucania venne effettuata la celebre ricerca, pubblicata nel libro “Sud e Magia”, eseguita da Ernesto De Martino negli anni 50 del XX secolo.

I Duchi Pinelli, suoi mecenati, erano una coltissima famiglia di origine genovese, che per altro aveva avuto rapporti strettissimi con Cristoforo Colombo (contribuirono a fornire i mezzi per andare in America), mentre Vincenzo Pinelli, fu fra i primi a studiare e scrivere su Leonardo da Vinci ( cifr. discorso sulla pittura di Leonardo da Vinci 1585).
Addirittura una buona parte della biblioteca Ambrosiana di Milano proviene dalla piccola Acerenza (c.d codice pinelliano). Vincenzo Pinelli ebbe poi rapporti strettissimi con Galileo Galilei ed è certo che una copia del celebre binocolo venne inviata ad Acerenza, tant’è che proprio Galileo viene menzionato dal Basile in una fiaba.
Le fiabe di Basile furono imitate, tradotte o rielaborate in tutta Europa, da autori come Clemente Brentano, Jacob (Hanau, Germania 1785-1863) e Wilhelm Grimm (1786-1859), Charles Perrault (Paris 1628-1703).
L’apprezzamento dei Grimm nei confronti di Basile stimolò la traduzione delle sue opere in tedesco (da Felix Liebrecht nel 1846) e in inglese (da John Taylor nel 1848).
Perrault (che scrisse poi Cenerentola) ebbe notevoli contatti con la cultura partenopea a lui coeva: scrisse una vita di Paolino da Nola e forse conobbe anche una nipote di Basile, cantante lirica alla corte di Versailles.
Il Basile titolò la fiaba Cinerentola proprio dall’anagramma, come era suo stile, di “TAL ERA IN CINA” , ed evidenziò la storia dei piedi e della scarpa piccola, che proprio in Cina era considerato un segno di grande bellezza. (1)
Per individuare i luoghi in cui nacquero le fiabe, occorre utilizzare lo stesso sistema di riferimento per analogie e anagrammi utilizzato dell’autore nel suo precedente libro sulle dame Napoletane, pubblicato nel 1621, dove utilizza spesso la sciarada, il rebus, e gli anagrammi.
Poiché le fiabe venivano recitate al cospetto conviviale dei nobili , gli indovinelli erano un tipico sistema di divertimento per tali serate.
Ma in quali luoghi nacquero le fiabe?
La prima località è l’antico borgo di Acerenza.

La reggia del Re dove sono narrate la fiabe è chiamata infatti Valle Pilosa, corrispondente a una zona di Acerenza detta valle della Pila, dove è sita una fontana ancora oggi ritenuta terapeutica (all’epoca magica), e dove la tradizione popolare colloca da sempre la zona detta “valle del Trono”, poiché lì si trova una mitica Reggia, con un evidente riferimento e omaggio ai Duchi Pinelli cui venne dedicato il libro. Bisogna dire che la zona è alquanto misteriosa, poiché qui si trova la grotta dell’Acheron, ritenuta l’ingresso nell’oltre mondo, cui fanno riferimento lo scrittore francese Fenelon nel 1800 e l’antica mitologia greca, come studiato recentemente dal noto storico lucano, Michele di Pietro.
Il nome, la storia e i luoghi di Acerenza non possono che ispirare storie fantastiche. Il nome del toponimo si lega perfino alle Sfingi e alle Piramidi in Egitto. È simile, infatti, a quello dell’altopiano in cui sorgono questi monumenti, noto come Aker o Akeru (“Porta dell’Oltremondo”).
L’altopiano ospita le due Piramidi e con ogni probabilità anche due Sfingi, una a Est, ossia quella che conosciamo, e l’altra collocata a Ovest, in una caverna, come detto nei testi che parlano del mito dell’Aker, proprio sul “Terzo livello”. E non è finita: anche la montagna oggi chiamata Ararat, proprio quella del mito dell’Arca di Noè, possiede lo stesso nome Akera (agira) e perfino il toponimo di Gerusalemme deriva dalla composizione di a-cher -lemm (montagna o terra). Il termine, antichissimo, deriva dalla divinità Cher (che significa “terra sacra”). Si riteneva che tutti questi luoghi fossero abitati dalle divinità o permettessero il contatto con esse.
Per la FONTANA DELLA RICCHEZZA E GIOVINEZZA: VAGLIO BASILICATA
“Partendo da Acerenza si percorre il fiume Bradano, nome attuale ed esatta trasposizione in celtico dell’antico nome originale Acheron, il mitico fiume che congiungeva il mondo dei vivi con l’oltre mondo, in sostanza un passaggio tra dimensioni, da cui il nome di Caronte, il traghettatore con l’aldilà.
Gli stessi nomi dei luoghi sono davvero inconsueti, poiché il frutto di una antica unione di termini greci, latini ma anche celtici, come testimoniato proprio dal nome del fiume Bradano, che deriva dai celtico Brix e Dan, (tradotto Fiume che viene dall’alto ) ma che indica anche il Bradan, il mitico pesce Salmone, che risaliva il fiume per morire e rinascere. In tali luoghi era ovvio che il Basile traesse ispirazione per le sue storie.
Seguendo il Bradano, si arriva a Vaglio di Lucania, l’antica Balium, nome celtico che deriva da Bala (“Roccaforte”) o Bella utilia (dal dio celtico Belenos, altro nome di Lug da cui il nome dell’intera regione: Lucania). Questo luogo potrebbe aver ispirato una delle fiabe riprese nel film di Matteo Garrone «La vecchia scorticata».
Il termine “Bala” indica anche il lago delle ninfe dal quale partiva il fiume che congiungeva con l’oltre mondo. Ed è qui che il Basile probabilmente colloca la fontana dell’eterna giovinezza e ricchezza, identificata con le acque magiche della Dea Mefitis nella zona detta Braida di Vaglio, con la leggenda della ninfa Egeria trasformata in fonte dal pianto della stessa per il Re Numa, la cui stele originale (Nummelos re dei lucani) è posta ancora oggi all’interno del locale Museo civico delle Antiche Genti di Lucania”.
La fontana è ancora oggi perfettamente accessibile nello spettacolare santuario della Dea Mefitis.
“Spostandoci nella zona del Monte Pollino e della città di Lagonegro, dove il Basile fu governatore, è possibile che da qui provenga la favola della bella addormentata nel Bosco. Ancora oggi la cima della montagna si chiama serra Dolce dorme e Cozzo della Principessa. I pastori presero a raccontarla vedendo forse sulla cima e tra le nebbie i pini Loricati, i cui rami una volta caduti e persa la corteccia, assomigliano ad esseri umani in riposo. La favola è poi forse la rielaborazione del mito del dio Apollo, dal quale deriva il nome del Monte Pollino (i greci credevano che gli dei vivessero in cima alle montagne) e della sua compagna Dea celtica Siriona, da cui il nome del Monte Sirino. Secondo la leggenda fu Pitagora in persona che, lasciata la vicina Metaponto, diede i nomi alle montagne, creando dei santuari dedicati ad Apollo iperboreo, cui era devoto”.
Secondo il mito, Apollo, dio della bellezza, s’invaghì di una ninfa, fatto che scatenò la gelosia di Siriona. Una situazione simile è alla base della fiaba del Basile, che di fatto costituisce una rielaborazione della leggenda. Ancora oggi nel lago Laudemio, posto sulla cima del Sirino, si specchia la Dea Siriona, per verificare chi sia la più Bella del reame”.
Altri luoghi lucani che hanno influenzato il Basile
Tra i luoghi che hanno ispirato il nobile napoletano c’è anche il castello di Lagopesole, da dove arriva la favola di Raperonzolo, chiamata Petrosinella dal Basile. Il nome deriva sia da prezzemolo sia da pietra e ancora oggi è visibile la statua della donna con le trecce di pietra posta sopra una torre nel castello in attesa dell’amato. “Petrosinella chiusa nella torre, alla finestrucola faceva penzolare le magnifiche trecce”. La fiaba venne poi diffusa dai Normanni fino alla Sicilia, dove ancora oggi è raccontata dai pescatori.

Altri luoghi di Basilicata da individuare nel Cunto dei Cunti
“Forse la favola più intrigante e misteriosa riguarda il paese di Pietragalla, nei pressi di Acerenza. La prima favola della IV giornata del Cunto de Li Cunti, si chiama proprio “la pietra del Gallo” e non è poi così azzardato dire che la favola costituisca la mappa per una ricerca davvero intrigante, poiché uno dei simboli del Graal è proprio una pietra e ovviamente il titolo non lascia dubbi sull’esplicito riferimento alla località. Non manca anche un collegamento con il Borgo Pietrapertosa, dove è accertata la presenza dei Templari.
Poi la foresta di Acerenza, dove nacque la fiaba di Hansel e Gretel, detta Nin, dove sono site alcune strutture megalitiche a cerchio (nonché piccole costruzioni di pietra ,che hanno dato origine ad una favola diffusa in zona degli orchi e di tesori nascost)i. Ancora oggi, la zona della foresta abitata da orchi e streghe è chiamata “inferno”. Il Basile nell’ultima fiaba del Cunto fa infine espresso riferimento alle isole Orcadi, dette le Isole delle Orche. Ecco il finale della fiaba raccontata dal Basile, Cenerentola , che speriamo sia anche quello della nostra: “Sappiate dunque… Le sorelle vedendo ciò, piene di rabbia, se la filarono quatte quatte verso la casa della mamma, confessando a loro dispetto che è pazzo chi contrasta con le stelle”.
(1) Ye Xian – CENERENTOLA
Da Wikipedia,
Ye Xian o Yeh-Shen è un’antica fiaba cinese. La prima apparizione scritta risale al IX secolo, nella raccolta di storie Youyang Zazu.
Trama
Ye Xian era la figlia di un sapiente che aveva due mogli. Quando la madre ed il padre morirono, Ye Xian fu costretta a diventare serva dell’altra moglie del padre (la matrigna di Ye Xian) e della figlia. Malgrado vivesse una vita oppressa dai lavori domestici, trovò sollievo quando poté stringere quel bellissimo pesce che viveva nello stagno. Il pesce era la reincarnazione della madre, che da allora si prese cura di lei.
Arrabbiata per il fatto che Ye Xian avesse trovato la felicità, la matrigna uccise il pesce e lo servì per pranzo a sé e alla figlia. Ye Xian fu devastata dal dolore fino a che lo spirito della madre non ritornò e le disse di seppellire le lische del pesce in vasi di ceramica posti a ogni angolo del suo letto base.
Nei giorni successivi ebbe luogo la festa locale di primavera, che costituiva l’occasione in cui le giovinette potevano venire a contatto con i loro potenziali spasimanti. Non volendo rovinare le probabilità della propria figlia, la matrigna di Ye Xian obbligò la figliastra a rimanere a casa per pulirla. Dopo che la matrigna e la sorellastra furono partite per la festa, Ye Xian fu visitata ancora dallo spirito di sua madre. La madre le disse di cercare nei vasi che contenevano le ossa dei pesci. Fatto questo Ye Xian trovò vestiti molto fini e un mantello di piume di Martin Pescatore, dei gioielli e un paio di sandali dorati per andare alla festa.
Ye Xian indossò i vestiti e si recò a piedi alla festa. Si divertì fino a che non si rese conto che la matrigna avrebbe potuto riconoscerla. Fuggì, dimenticando accidentalmente un sandalo dorato. Quando arrivò a casa, nascose di nuovo i vestiti nei vasi vicino al letto. Quando la matrigna e la sorellastra rientrarono, discussero le possibilità di matrimonio della sorellastra e fecero cenno a una misteriosa fanciulla che si era presentata alla festa. Non sapevano di stare parlando di Ye Xian. Il sandalo dorato fu trovato e scambiato da vari commercianti fino a che non giunse nelle mani del re di un regno vicino. Affascinato dal sandalo di così piccole dimensioni, il re emise un bando per ricercare la ragazza. Proclamò che colei che fosse riuscita a calzare il sandalo sarebbe diventata sua sposa. Il sandalo fu portato infine alla casa-caverna di Ye Xian, e sia la sorellastra che la matrigna effettuarono la prova ma senza successo. Il sandalo invece risultò coincidere perfettamente con la misura del piede di Ye Xian.
Nel tentativo di dissuadere il re dallo sposare Ye Xian, la matrigna dichiarò che era impossibile che Ye Xian fosse stata alla festa. Lei stessa aveva visto la fanciulla che indossava il sandalo dorato alla festa, i vestiti fini che portava ed inoltre affermò che Ye Xian era stata al paese per tutto il tempo. Ye Xian dimostrò a quel punto la verità indossando i vestiti che aveva alla festa insieme all’altro sandalo dorato. Il re, affascinato dalla bellezza di Ye Xian, affermò che l’avrebbe sposata. La matrigna fece un tentativo finale allo scopo di dissuadere il re dallo sposare la figliastra, accusandola di avere rubato il sandalo alla ragazza misteriosa. Per punire le due donne per la loro crudeltà e disonestà, il re proibì a Ye Xian di portarle a vivere con lei. Trascorsero così il resto della vita nella loro casa-caverna finché non morirono schiacciate dalle pietre.
Raffaello Glinni