Cenerentola, un archetipo sullo schermo

Cenerentola (Cinderella) è un classico Disney tra i più noti, tuttora iconico nonostante l’evoluzione dei film di animazione abbia portato al graduale superamento di una trama declinata in funzione di un matrimonio principesco. Il film è del 1950, successivo quindi a Biancaneve e i sette nani (Snow White and the Seven Dwarfs), del 1937; i due lungometraggi hanno molto in comune e sono entrambi ispirati a delle fiabe, tuttavia la figura di Cenerentola rispetto a quella di Biancaneve si è imposta più profondamente a livello culturale, e difatti nel linguaggio comune il soprannome della protagonista è rivestito di molteplici usi metaforici.

La fiaba dalla quale prende il nome Cenerentola è archetipica, ha origini antichissime ed è tramandata in molte culture anche se in versioni differenti. Nell’adattarla allo schermo, Walt Disney ha avuto il merito di conservare le caratteristiche principali del genere letterario di appartenenza di questa storia emblematica che, nonostante la rapida evoluzione culturale degli ultimi decenni, riamane intramontabile.

In linea con la tradizione della fiaba, in principio troviamo la nostra l’eroina tiranneggiata e umiliata. La sua vita non è sempre stata così: il punto di rottura è rappresentato dalla morte del padre, uomo benevolo e amorevole. La giovane figlia, della quale non conosciamo neppure il nome di battesimo, rimane suo malgrado sotto l’autorità della perfida matrigna e le viene affibbiato il soprannome dispregiativo di Cenerentola.

La storia è ricca di personaggi antitetici e così, come il padre dell’eroina è buono e la matrigna cattiva, allo stesso modo la protagonista è mite, bella ed elegante, mentre le sorellastre sono maligne, brutte e sgraziate. Pigre, ambiziose e un po’ sciocche, nulla hanno a che fare con la sorella acquisita, che è laboriosa, umile e sognatrice. I contrasti investono pure il regno animale: mentre i validi aiutanti della protagonista hanno una connotazione positiva, quale che sia la specie di appartenenza, Lucifero, il gatto della matrigna, ha un’indole decisamente malevola. Mentre Cenerentola è impegnata a farsi valere con la matrigna e con le sorellastre, i suoi piccoli aiutanti, oltre a darle un sostegno imprescindibile, sono impegnati a ostacolare il malvagio felino anche per se stessi.

L’estremizzazione delle caratteristiche dei personaggi consente al destinatario della storia di individuare subito i buoni e i cattivi e di separare senza alcun dubbio bene e male; nel finale è fatta giustizia e Cenerentola sposando il principe riacquisisce lo status agiato perduto alla morte del padre, trovando una via di fuga legittima da una casa divenuta ostile. Per risolvere il contrasto tra famiglia d’origine e nuovo nucleo in formazione è essenziale l’aiuto della fata madrina: questa figura apporta il tocco magico tipicamente fiabesco funzionale al lieto fine e rappresenta l’anello di giunzione tra la vecchia vita della protagonista e la nuova.

Da notare che il riscatto familiare di Cenerentola si traduce nella figura di un rassicurante principe, che è salvifico in quanto tale e perciò non necessita di ulteriori caratterizzazioni: il suo titolo basta a edulcorare il delicato passaggio dalla famiglia d’origine convenzionalmente oppressiva alla formazione di un nuovo nucleo. Anonimo quanto basta per lasciare campo libero all’immaginazione, egli racchiude la promessa implicita di una vita diversa da quella che si vuole lasciare alle spalle e la sua esistenza è fondamentale per la felice risoluzione della storia.

Autore: Camilla Vecchione

Mi chiamo Camilla Vecchione, la mia passione è leggere e amo scrivere. Dopo il Liceo Classico mi sono laureata in Lingue e Culture straniere. Per Pillole di Folklore e Scrittura mi occupo di recensioni.

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