Bakuman – The good, the meh and the bad [Manga]

A volte mi capita di immergermi di nuovo in una storia che avevo apprezzato in passato per provare a capire se dopo tanto tempo il mio giudizio nei suoi confronti sia cambiato. È quel che ho fatto nel corso di gennaio con Bakuman, manga di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata che una decina di anni fa avevo adorato, al netto di qualche problemino negli ultimi archi narrativi. Quelle che state per leggere solo le mie opinioni sull’opera al termine della rilettura.

The good

La passione per le storie

Essendo incentrato sulle vicende di un duo di mangaka e sui suoi colleghi/rivali, Bakuman mette spesso al centro della scena le storie e il processo creativo che porta alla loro realizzazione. Vedere i personaggi scervellarsi assieme ai loro editor per capire come impostare un arco narrativo, introdurre un nuovo personaggio o chiudere una serie nel migliore dei modi è galvanizzante, soprattutto per chi ha una passione simile e sa bene quanto possa essere complicato incastrare ogni pezzettino della trama nel posto giusto.
Sotto questo punto di vista, la parte del manga che ho preferito è quella incentrata sulla nascita e lo sviluppo di PCP, serie che gli Ashirogi realizzano con una passione contagiosa, spingendosi persino a vivere delle avventure simili a quelle dei loro personaggi per capire come narrarle al meglio.

I retroscena

Per quanto romanzata, la storia di Bakuman permette comunque di farsi un’idea abbastanza precisa e accurata di come funziona la professione del mangaka. Nel corso dei capitoli si scopre quali sono i passaggi necessari per realizzare un manga (dal name alle tavole definitive), com’è strutturata la redazione di Shonen Jump (una delle riviste più importanti e famose), cosa fa di preciso un editor, come funzionano i sondaggi di popolarità, di cosa si occupano di preciso gli assistenti e altro ancora. Le spiegazioni sono proposte in modo chiaro e interessante e aiutano a sentirsi sempre più coinvolti nel percorso pieno di ostacoli intrapreso da Moritaka e Akito.

I disegni

Takeshi Obata è bravissimo a disegnare e anche in un manga abbastanza “statico” come Bakuman è riuscito a sfoggiare le proprie capacità. L’impegno profuso si nota nelle tavole ricche di dettagli e nella fedeltà con cui ha realizzato gli attrezzi del mestiere usati da Moritaka e alcuni luoghi esistenti nella realtà (la sede di Shonen Jump è pressoché identica). È stato anche bravo ad adattare il proprio stile all’atmosfera delle storie raccontate da ciascun mangaka nelle proprie opere. Si passa dal reformed presente in “Corri, Tanto Daihatsu!” ai disegni “brutti” di “La leggenda dei supereroi”. Impeccabile, inoltre, il character design di quasi tutti i personaggi (solo un paio mi sono sembrati poco ispirati) e la cura maniacale per i vestiti indossati, che cambiano molto nel corso della serie.

The meh

La ripetitività

In alcuni punti, Bakuman tende a essere abbastanza ripetitivo. Per esempio ci sono vari capitoli in cui i protagonisti tendono a rivivere sempre la stessa situazione:
• Preparano un manga che sembra destinato ad avere successo;
• Aspettano i risultati della riunione della redazione di Jump;
• Scoprono che il manga è stato respinto e devono farsi venire in mente qualcosa di nuovo.
Da un lato questa ripetitività è fisiologica, perché in effetti può capitare che i mangaka restino impantanati in un loop simile, però alla lunga finisce per stancare un po’. È un problema che riguarda soprattutto i volumi centrali, quando la situazione tende a farsi stagnante.
Negli ultimi capitoli, invece, ho sofferto poco la scelta di inserire due archi narrativi incentrati su Nanamine a pochissima distanza l’uno dall’altro.

Goro Miura, l’editor sbagliato

La scelta di inserire un editor con il quale i protagonisti sono meno in sintonia non è male, però avrei preferito vederlo togliersi dalle scatole dopo un numero inferiore di volumi. Per quanto Miura non sia un personaggio del tutto negativo, vederlo portare gli Ashirogi in una direzione palesemente sbagliata è irritante e con il passare dei capitoli diventa sempre più difficile sopportare la sua presenza. Di certo quest’aspetto della vita di un mangaka andava raccontato, però avrei preferito una gestione differente.

Il mini arco narrativo di Loveta & Peace

Per quanto non sia una parte del manga totalmente insopportabile (anche perché dura abbastanza poco), l’arco narrativo nel quale Akito sembra più concentrato sul manga di uno dei suoi assistenti che su PCP è abbastanza irritante. Non solo la sua utilità nell’economia della trama è scarsa, ma si basa anche su un malinteso che i protagonisti avrebbero potuto risolvere confrontandosi in modo sano, come dovrebbe essere normale dopo anni di amicizia e collaborazione.

The bad

La storia d’amore tra Moritaka e Miho

Un aspetto di Bakuman che non ho mai apprezzato è la gestione della storia d’amore tra Moritaka e Miho, vero motore degli eventi della trama. La loro promessa (“ci sposeremo quando riusciremo a realizzare i nostri sogni, ma fino ad allora non potremo mai incontrarci”) è stupida, soprattutto considerando che i due quasi non si conoscono e basano la loro relazione sul classico colpo di fulmine (cliché del quale sono tutt’altro che un fan). Nel corso dei volumi si avvicinano un po’ di più l’uno all’altra, grazie agli sporadici messaggi che si scambiano e a un paio di interazioni faccia a faccia, ma mai abbastanza da giustificare un matrimonio.
Penso che il manga avrebbe funzionato benissimo anche senza una sottotrama simile, magari mettendo un obiettivo finale diverso (raggiungere alcuni traguardi che lo zio di Moritaka non aveva nemmeno sfiorato, per esempio). Oppure i personaggi avrebbero potuto realizzare la stupidità alla base di una promessa simile e modificarla poco per volta, rendendo possibile arrivare in modo organico alla proposta di matrimonio.
Pure le altre relazioni presenti nell’opera non sono gestite in modo impeccabile, ma perlomeno non arrivano a certi livelli di demenzialità.

L’esaltazione dello stacanovismo

Non è un mistero che in Giappone la cultura del lavoro sia molto diversa da quella italiana. Gli straordinari sono la normalità nella stragrande maggioranza delle aziende e la karoshi (la morte per troppo lavoro) non è rara come dovrebbe essere. Purtroppo anche in Bakuman questo rapporto tossico con la produttività è presente e al posto di essere demonizzato viene spesso esaltato, perché dimostra la dedizione del mangaka per la propria attività (o qualche altra fesseria di questo tipo). Nei capitoli in cui Moritaka finisce in ospedale in seguito a un collasso, quasi tutti i personaggi accettano di buon grado la sua scelta di continuare a disegnare durante il ricovero, arrivando persino a elogiarla. Quell’arco narrativo poteva essere una buona occasione per denunciare la parte più marcia dell’industria dei manga e invece ha finito con l’esaltarla…

Il sessismo

Il problema più grosso di Bakuman, al quale dieci anni fa non avevo fatto caso, è la rappresentazione dei personaggi femminili. Akito, che viene presentato fin dall’inizio come un ragazzo intelligente, fa un sacco di discorsi sessisti, arrivando a sminuire una sua compagna di classe solo perché si impegna tanto nello studio e questo, nella sua ottica distorta, la rende meno femminile (non impegnatevi a cercare una logica in questo ragionamento, non ce n’è una). Pure Moritaka ha delle cadute di stile imbarazzanti, soprattutto quando definisce Miho “scema” perché sogna di diventare una doppiatrice (come se lui non stesse tentando a sua volta di intraprendere una carriera artistica…).
Iwase, una delle donne più intelligenti presenti nella serie, viene rappresentata come insopportabile, Aoki perdona un uomo che stava per farle del male (e che viene trattato fin troppo bene nel corso di tutta la serie) e Miyoshi viene sempre presa in giro per la sua passione per le arti marziali e i suoi atteggiamenti un po’ “mascolini”. Insomma, chi è alla ricerca di personaggi femminili ben scritti non deve certo leggere Bakuman.

Autore: Alessandro Bolzani

Mi chiamo Alessandro e sono l'autore del romanzo urban fantasy "I Guardiani dei Parchi". Nella vita faccio il giornalista, ma qui su Wordpress gestisco il blog "Pillole di Folklore e Scrittura", dove parlo di libri, mitologia, credenze popolari e, in generale, di tutto ciò che mi appassiona.

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