Nel 1799, al passaggio tra i due secoli “l’un contro l’altro armato”, William Godwin, il filosofo primo ispiratore del pensiero anarchico, dà alle stampe con grande successo St. Leon, descrivendo le vicende di un nobile francese del XVI secolo che ottiene il dono della vita eterna e della pietra filosofale. I doni ricevuti, che gli danno ricchezze e poteri illimitati, lo relegano tuttavia al di fuori della famiglia e dell’umanità intera. Il protagonista, trasformato in un alchimista dedito alle arti oscure, vaga in un’Europa in pieno scontro di religioni e di civiltà, dalla Francia alla Svizzera, dall’Italia alla Spagna e all’Ungheria, animato da un amore per l’umanità che si scontra costantemente con pregiudizi e superstizioni. In un momento cruciale per la storia della cultura europea, Godwin fa rivivere le basi del pensiero settecentesco, senza trascurare le suggestioni della nascente sensibilità romantica.
La sinossi presente sul sito di Edizioni Haiku
La mia opinione:
Preferisco essere sincero fin da subito: portare a termine la lettura di “St. Leon, l’alchimista” non è stata un’impresa facile. Sono contento di esserci riuscito e non nego di aver apprezzato alcune delle caratteristiche del libro, ma dubito che in futuro mi cimenterò in una rilettura. A mettermi in difficoltà non è stato il numero di pagine, bensì lo stile di scrittura utilizzato da William Godwin che, lo dico con la massima onestà, ho trovato noioso e a tratti persino soporifero. Quando ci si approccia a un autore vissuto in un periodo storico piuttosto lontano dal nostro è normale trovarsi di fronte a una narrazione diversa da quella moderna, ne sono ben consapevole, ma in questo caso lo “shock culturale” è stato ancora più forte del solito.
La trama di “St. Leon, l’alchimista” ruota molto più attorno ai personaggi e alle loro scelte che agli eventi che si ritrovano a vivere (almeno fino a un certo punto), però questo giustifica solo in parte gli infiniti monologhi interiori del protagonista, spesso ripetitivi e pesanti da seguire. I temi al centro di queste riflessioni sono anche interessanti, ma la piattezza con cui sono affrontati rende molto difficile lasciarsi coinvolgere. Le insidie della ricchezza, la malattia del gioco d’azzardo, la bellezza nascosta di una vita umile: sono tutti argomenti che, gestiti nel modo giusto, avrebbero il potenziale per tenere il lettore incollato alle pagine. Godwin, a mio giudizio, è riuscito a valorizzarli appieno solo in alcuni passaggi del romanzo, che da soli non bastano a salvare il resto. Il problema risiede in parte nel protagonista: Reginald St. Leon è un uomo di nobili principi, certo, ma rigido, privo di qualsiasi verve e quasi sempre incapace di imparare dagli errori o dall’esperienza. È a dir poco esasperante vederlo commettere di continuo degli sbagli per i quali in precedenza si era rimproverato per pagine e pagine!
Al di là dell’aspetto più introspettivo del libro troviamo una trama che ci mette un po’ a entrare nel vivo. Ho trovato tutta la prima parte fin troppo prolissa e credo che snellendola la lettura sarebbe diventata senz’altro più godibile. La situazione migliora un po’ quando Reginald St. Leon diventa un alchimista, soprattutto perché nel lettore nasce la curiosità di vedere in che modo utilizzerà i suoi nuovi poteri. La gestione della capacità del protagonista di disporre di una quantità infinita di denaro e di produrre l’elisir di lunga vita è al tempo stesso interessante e irritante. Partiamo dai lati positivi. Vedere la reazione della comunità europea del sedicesimo secolo, alquanto credente e superstiziosa, a qualsiasi forma di magia o elemento esoterico è senz’altro affascinante e permette di farsi un’idea un po’ più precisa di quel periodo. I vari approfondimenti sulle varie culture e usanze mi sono piaciuti davvero tanto e li ho trovati la parte più riuscita di tutto il romanzo.
Ma allora cos’è che mi ha infastidito? La costante sfortuna del protagonista. E sì, mi rendo benissimo conto che è una scelta voluta, ma questo non la rende più sopportabile. Il messaggio che Godwin vuole lanciare mi sembra chiaro: “chi entra in possesso di poteri che lo ergono al di sopra di tutti gli esseri umani è destinato a essere infelice”. È sensato. Oserei pure dire inattaccabile. Però vedere Reginald perseguitato senza motivo o cadere di continuo negli stessi errori mi ha costretto più volte a prendermi delle lunghe pause dalla lettura per smaltire il nervosismo. Si tratta, ancora una volta, di un difetto aggravato dalla lunghezza del libro e dalla ripetitività degli eventi. Di fronte una narrazione più veloce e concisa credo che lo avrei trovato molto più sopportabile.
Nonostante tutto ciò che ho scritto finora, credo che chi nutre interesse per argomenti come l’alchimia e l’immortalità dovrebbe provare a dare una chance a questo libro. Un lettore più paziente di me potrebbe non trovare poi così tanto tediose le elucubrazioni mentali di St. Leon e chiudere un occhio sulla natura ripetitiva della narrazione.
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