Rinascita dalle ceneri

Capita molto spesso di leggere online storie di rinascite, di gente di successo che, dall’oggi al domani, è divenuta un imprenditore di successo, un magnate con tre macchine e una casa a due piani, ecc ecc.
Capita altrettanto spesso che queste storie siano vaghe, superficiali, piene di incoraggiamenti di circostanza che alla fin fine lasciano poco o nulla.
Con questo articolo tento di dire la mia versione, sia perché ho molto da dire, sia perché inizio con la premessa che “rinascita” non implica il diventare, immediatamente, qualcosa di “completo”, tutt’altro.

È difficile per me attribuire un momento di “inizio fallimento” – perché, come tanti, ho fallito, e cavolo quanto ho fallito.
Con la memoria viaggio fino ai tempi del liceo, dove, come tanti, vivevo nella pericolosa combinazione di svogliatezza e bullismo. Due realtà più vincolate di quanto non si sospetti.
Non mi sono mai, mai sentito a mio agio nei gruppi. Sebbene a tu per tu non ho nessun problema a parlare con le persone, qualcosa dei gruppi mi ha sempre provocato profondo disagio.
Questo, insieme alla mia eccentricità (dato di fatto di me stesso che ci ho messo tempo ad accettare), mi ha reso il recipiente perfetto per il bullismo.
Bullismo, una parola che suona quasi come un cliché, ormai.
Ma bullismo non si traduce in cliché.
Si traduce in venire ridicolizzato verbalmente da gruppi di persone per parole o mancanza di parole. Puoi sentire gli scherni come puoi non sentirli, è la stessa cosa.
Si traduce in venire trattato da idiota.
Si traduce in ricevere molestie fisiche e sentire poi le risate di ragazzi e ragazze e sognarlo per anni a venire.

A suo tempo la mia svogliatezza, o presunta tale, si traduceva in due hobby, uno classico e uno non tanto classico: videogiochi e scrittura creativa. Particolarmente quest’ultimo.
Hobby che a loro volta mi rendevano parte di micromondi, di circoli di amicizie virtuali dove potevo essere accettato.
Il problema è che, ed è ovviamente la mia opinione, la vita virtuale non sostituirà mai la vita vera.

La prima persona che credo mi abbia veramente accettato per chi fossi è arrivata verso la fine del liceo.
Ma aveva conosciuto un qualcuno di rotto, malfunzionante, pieno di problemi. Un qualcuno che tentava di mostrarsi per ciò che non era.
E, un giorno fatale, ciò segnò irrimediabilmente tale relazione.

Di nove anni spesi con questa persona, sei ne ho passati a correggere il mio errore. A correggere me stesso. A migliorarmi.
Ma nel concentrarmi solo su questo, ho perso di vista tutto il resto, per usare un eufemismo.
Gli amici che avevo, la cura del mio corpo, il capire cosa volessi personalmente dalla vita. Cosa stessi cercando.
Solo la scrittura e un mio caro amico sono sempre rimasti con me.

Poi per una serie di motivi noiosi che non sto a spiegare, per quanto abbia lottato con tutte le mie forze, quei nove anni sono finiti, e quel che è rimasto era un tizio grasso, anzi obeso, con una laurea che su LinkedIn fa ridere, un amico, un hobby e poco altro.

La scadenza di quei nove anni ha coinciso, indovinate un po’, con l’inizio della quarantena. Che fortuna, eh?
Ma forse per me la quarantena, l’isolamento forzato è stato un toccasana.
Perché la vera rinascita è cominciata da lì.

Vi dirò nel concreto che cos’ho fatto.
Così tanta ginnastica ed esercizio fisico che solo la quarantena mi ha permesso di averne il tempo per concretizzare effettivamente un simile impegno.
Sebbene inizialmente fossi titubante, ho proseguito il mio hobby della scrittura, sia tramite il presente blog che tramite un romanzo che spero prima o poi di pubblicare.
Ho tentato di imparare un po’ questo, un po’ quello, un po’ tutto.
Ho cercato persone nuove attivamente un po’ ovunque.
E proprio su quest’ultima cosa mi vorrei soffermare di più.

Avevo scritto un altro articolo sull’importanza del networking, ma sento di dover aggiungere qualche riga in più. Anche perché credo che questo articolo ne sia il “successore spirituale”.
Conoscere nuove persone è stato, ve lo dico? Facile. Perché nel momento in cui si tenta di prendere questa direzione, si crea quasi un effetto valanga.
Nel senso, a un certo punto si sente il bisogno di espandere i propri orizzonti, e allora viene proprio istintivo chiacchierare con un po’ tutti.

Ancora prima che me ne rendessi conto, il mio WhatsApp, da che era un deserto, è diventato uno stato con popolazione 20, 30, 50 persone.
E credo che, ancora, senza accorgermene, queste persone mi hanno cambiato, mi hanno dato spunti, mi hanno dato direzione.

E sebbene un buon 50, diciamo anche 70%, nel complesso, si perde per strada per i motivi più stupidi, si rivela per chi è veramente (frase fatta per dire “non date fiducia a tutti”), gli si tende la mano e si prende il braccio con totale indifferenza, o in generale non se ne frega niente di te per quanto si voglia romanticizzare il contrario, ho capito che, alla fin fine, non era poi così importante la mia pancia, o il fatto che non sapessi usare Excel.

Ho capito che è importante fare la differenza, e poter fare la differenza. Soprattutto in un momento così delicato come questo.
Ho capito che la vita è una sola – ideologia che molti usano per darsi alla pazza gioia – ma io la vedo diversamente.
La vita è una sola per fare la differenza, per l’appunto. Per cercare di fare la differenza.
Sia aiutare qualche poveretto che non trova la ragazza, sia aiutare qualcuno a tradurre un CV, sia semplicemente stare ad ascoltare, tutto può fare la differenza, e questa differenza produce una sorta di “eco”, per così definirlo, nel futuro.
Personalmente non chiedo né mai voglio niente in cambio se non è (ovviamente) lavoro. Perché mi sento rinato in quel momento.
Lascio tutto scritto qui, nero su bianco.

A ripensarci, comunque, la pancia mi preoccupa.

Autore: Gabriele Glinni

Dottore in Mediazione Linguistica con riguardo verso la traduzione specialistica. Amante della scrittura creativa e autore del romanzo Ascend-ent. Sostenitore dell'arte della composizione di messaggi efficaci ed eloquenti.

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