Come tutti, sia io che Alessandro abbiamo fatto i primi passi in scrittura tanti, tantissimi anni fa. In questo articolo, racconterò dei miei (terrificanti) esordi, e cos’è cambiato da allora.
Sebbene le mie origini scrittorie risalgano a una sottospecie di fanfiction di Dragon Ball, e una sorta di strano e insensato processo basato su Ace Attorney e con protagonisti dei miei amici, lo attribuisco formalmente alla storia Wolf Lonnie: Ace Attorney.
Come presuppone il nome, Wolf Lonnie: Ace Attorney era inizialmente un racconto basato sulla saga del gioco Phoenix Wright: Ace Attorney.
Ne era una fanfiction con un protagonista avvocato differente. Wolf, per l’appunto.
La storia era ambientata cinque anni dopo Phoenix Wright: Trials & Tribulations e dunque due anni prima di Ace Attorney: Apollo Justice.
La premessa iniziale non era molto diversa da quella di Phoenix Wright e anzi ne era (relativamente) una sorta di parodia, con alcune particolarità che si sarebbero rivelate mano mano.
Il mio stile di scrittura era semplice: si limitava solo a ricalcare, in stile copione, il modello del gioco.
Un esempio:
Wolf: “Io non ho paura, è solo impressione… io non ho paura, è solo impressione… “
???: “Credo che il procuratore sarà molto contento di vederti così nervoso. Ma io non lo sono affatto, Lonnie.”
Wolf: “Uhk…!”
Mentre io ero impegnato a fare avanti-indietro per la sala imputati prima dell’inizio del mio primissimo processo, mi arrivò di soppiatto alle spalle (o almeno così a me parve) un uomo abbastanza alto, i capelli color biondo cenere che ricadevano sulla sua spalla destra formando una lunga treccia, l’espressione seria e calma, resa tale anche grazie ai suoi occhiali spessi, e la raffinata giacca blu scuro che completava il suo aspetto di “Miglior difensore della Costa Occidentale”.
Era Kristoph Gavin, il carismatico, intelligente (non proprio sempre) e a tratti inquietante detentore del prestigioso ufficio Gavin & co., di cui posso vantarmi di esserne diventato parte… dopo una serie di eventi molto particolari.
Wolf: “Capo? Io non ho paura, è solo impressione… ha capito?”
Kristoph: “Ah… è sempre un’ottima cosa essere calmi e tranquilli. Ma… ti ricordi i particolari del caso, vero?”
Wolf: “!”
… Accidenti, se c’è una cosa per cui invidio il mio capo, è sicuramente la sua grandissima sicurezza.
Ehm, comunque… mi sa che avrei fatto meglio a ripassare, ieri… al posto di gingillarmi.
Non che sia una novità fare scena muta per me, comunque!
Wolf: “Ehr… ho come un vuoto di memoria!”
Kristoph: “*sigh*… come al tuo solito. E va bene, giochiamo al maestro cattivo e all’alunno impreparato. Avanti, ripetimi chi è la vittima.”
In realtà si tratta di una versione riveduta e aggiornata molte volte del dialogo originale, non più reperibile, ma comunque dovrebbe rendere l’idea.
Ricordo benissimo che la primissima volta che scrissi la storia provavo un senso di leggerezza e di liberazione che difficilmente ho nuovamente sentito, forse perché la mia mente era ancora vuota dei numerosi concetti di scrittura e cliché che ho appreso nel corso del tempo.
Questo è risultato in una storia inizialmente spensierata, quintessenziale, godibile, anche se molto approssimativa, strapiena di refusi (pò, perchè, un’eco, ecc.).
Il fatto che fosse molto vicina al videogioco e che inclusi parecchi personaggi della saga originale (con notevole riguardo verso quello di Kristoph Gavin) mi permise di conoscere molti fan e amici (tra cui il carissimo Alessandro).
Un punto di svolta fu la morte di uno dei personaggi principali, Ayane, per mano di Thomas Lonnie, il padre di Wolf.
Far morire la spalla in una storia Ace Attorney era una novità assoluta che destò lo scalpore dei lettori.
Un’altra sorpresa arrivò dopo, in un caso ambientato nel futuro, in cui proprio Wolf si scoprì essere l’assassino di suo padre.
Questo doveva essere il finale di tutto, ma era chiaro che la mia scrittura stava iniziando a rendersi più complessa.
L’intenzione era di chiudere tutto lì, ma qualcosa mi spinse a spiegare maggiormente le motivazioni dell’atto di Wolf.
Fu così che crei la storia Wolf Lonnie: Fighting for Truth, un sequel di Wolf Lonnie: Ace Attorney, almeno per quanto riguarda la linea temporale “nel presente”.

Non è facile spiegare le mie sensazioni e i miei processi mentali nell’atto di costruzione di quest’opera.
Innanzitutto, ricordo che i nuovi personaggi principali che avevo in mente (escludendo Wolf, da sinistra verso destra nell’immagine: Lilith, Lucious, Salinne) mi ispiravano molto. Inoltre avevo appena terminato la visione di Death Note, fantastico anime che mi caricò di creatività.
La caratteristica principale di Fighting for Truth era la lotta in un mondo dove la concorrenza era spietata e non guardava in faccia a nessuno.
Inoltre, lavorai sulla storia con l’intenzione di creare personaggi più complessi, di andare più in profondità riguardo le motivazioni e il character development.
Ma fu proprio in questo sequel che commisi alcuni errori grossolani, tipici degli scrittori in erba:
- Per dare più lustro ai nuovi personaggi, Wolf iniziò a commettere parecchie gaffe in tribunale, presentandosi spesso impreparato (ciò che si chiama il “Worf Effect”)
- Frequentissimi i riferimenti a Death Note, assolutamente irrilevante ai fini dell’opera (e a volte perfino a, sigh, I Promessi Sposi),
- Il personaggio di Salinne, spesso favoreggiato e prono a fare bella figura in tribunale, venne considerato da alcuni una Mary Sue,
- Pacing lento e tedioso (dovuto a uno stupidissimo pensiero secondo cui, se la storia durava di più, sarebbe stata di qualità superiore),
- Generalmente un senso di Darker and Edgier, dovuto alla crescente depressione nel personaggio di Wolf.
Le critiche non mancarono, sebbene non sempre mi furono rivolte con l’intenzione di essere “puramente” delle critiche.
In ogni caso conclusi l’opera, ma si creò una divisione nei miei fan, pur non capendo bene perché.
Alcuni continuavano ad apprezzare la saga, il personaggio di Wolf e tutti i suoi comprimari. Altri se ne distaccarono.
Posso però dire che con Wolf imparai il genere investigativo, scrivere introspezioni, lavorare sui personaggi a 360° gradi.
Qualcosa poi mi spinse a creare la mia successiva opera, una dipartita totale dal mondo di Ace Attorney.
Sto parlando di Lilith Light: Parallel Ways.

L’ispirazione venne da alcune partite al videogioco Resident Evil 4 e osservando alcuni miei amici fuoriuscire dallo stile narrativo di Ace Attorney, per esplorare qualcosa di nuovo.
Curiosamente, non è che quelle storie così differenti mi affascinassero, ma venni comunque coinvolto dal trend.
La protagonista era Lilith, nella storia divenuta un agente dell’FBI, che indaga sui rapimenti misteriosi di alcuni bambini in una cittadina portuense, Deepsea.
Era la prima volta che lavoravo su un’ambientazione grande, diversa e, in un certo senso, estranea.
Un progetto ambizioso, ma lo stile iniziale si rivelò a dir poco discutibile:
Ma, mentre questa scia di pensieri attraversava la mente di Lilith, il telefono iniziò a squillare, disturbando la bionda.
…
…
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRRRRRGGGGGGGGGGGGGGGGHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!
LO FANNO APPOSTA!
Ora, chiunque abbia osato disturbarmi, incapperà nelle mie parolacce, non importa come e perchè! MERDA!Coprendosi con soltanto un asciugamano, Lilith si sbrigò a rispondere al telefono, che squillava, senza sosta, dall’ingresso, con passo rabbioso e rapido.
Attraversò il corridoio, raggiungendo l’ingresso, piuttosto spartano e semplice, costituito solo da due divani bianchi, e un mobiletto, sul quale si trovava l’odiato telefono.Lilith: “PRONTO!”
???: “Fornire codice di identificazione.”
Lilith: “…!”
Lilith riconobbe subito la voce calma, fredda, compassata e quasi robotica del suo capo.
Spero che qualcuno te la stia mandando, proprio in questo momento.
Lilith: “X5P000AATL4332.”
???: “Corretto… agente dell’FBI Lilith Light.”
Noterete subito qualcosa di strano: allo stile copione aggiunsi una terza voce narrante, che, mescolandosi allo stile copione, rese il tutto un pappone.
Generalmente mi fu anche molto difficile la transizione in un genere e in uno stile nuovo, ossia il dover gestire una storia di sole indagini, e ne conseguì questo:
- Lilith fece poco o nulla nella sua stessa storia,
- Molti capitoli ebbero problemi di tone shift (si passava dal comico al serio, e dal serio all’assurdo),
- Alcuni capitoli furono molto difficili da leggere (tant’è che, tornando brevemente allo stile copione, un lettore disse “si torna allo stile leggibile“),
- Deepsea e il suo lore vennero poco esplorati,
- Risoluzione e scontro finale insoddisfacenti.
Non avevo più idea di come concludere le mie storie e ne produssi un’altra, che però presentò ulteriori problemi. Una serie di sequel malriusciti.
Le quattro storie, insieme, divennero Case WL-0: World of Lies.
Questo finché, parecchi anni dopo, con la mia ex fidanzata successero due cose:
- Rilessi tutto quanto, cercando di correggerlo e migliorarlo (processo che ripetei in seguito numerosissime, troppe volte),
- Venni ispirato a scrivere una nuova storia, seppur breve, sempre sullo stesso filone, ma con un nuovo personaggio: Deeper than Void, con Sean O’Quinn, un finto avvocato mandato da un’associazione segreta criminale.

Credo che il fattore età e il distacco dalla scrittura influenzarono molto il mio ritorno.
Deeper than Void cominciò subito con atmosfere dark ma poco pretenziose, con toni noir vicino a Batman, ed ebbe buon successo.
Inoltre, mi diede un primissimo approccio alla scrittura action, che ho sviluppato in seguito.
Un problema che ho riscontrato in riletture successive sono stati numerosi infodumping (facendo poco ricorso al subtle writing), ma non abbastanza da minare irrimediabilmente il lavoro.
Ritengo che, in quel periodo, avessi appreso a strutturare meglio le mie idee.
Non ripresi in mano tutto il vecchio lavoro e cominciai a scrivere in due, contemporaneamente, sullo stesso documento di Word online, sviluppando i nostri personaggi in un unico insieme.
La mia esperienza fu sia positiva che negativa.
Da un lato ebbi modo di migliorare i miei personaggi, lavorarli di nuovo, approfondirli, dare loro più senso, capire i miei errori.
Dall’altro, dovendo venire incontro alle esigenze narrative della mia ex fidanzata, la mia vision originale si sballò completamente.
Quella che era una semplice storia di Ace Attorney con cliffhanger originali curiosi, poi divenuta a riguardo di un’agente dell’FBI, divenne un ensemble con frequenti capitoli slice of life o comunque proposte molto lontane dalla primissima stesura.
Arrivato alla sede dell’UpTV, mi feci strada tra i soliti dipendenti disordinati ed irritanti.
Lei era nella sala d’attesa, intimorita, ma decisamente più composta di molti nuovi candidati o colleghi.
– Signorina Tenzini, è finalmente un piacere rivederla. Come sta? Spero non si senta troppo smarrita.
Le avvicinai la mano per stringerla, e per farla sentire un po’ più a suo agio.
– Buongiorno… sto bene grazie, e lei? Qui si sta bene, è ordinato.
Mi scappò un sorriso, ma lo trattenni per rispetto. Apprezzo moltissimo il commento.
– Be’, per fortuna chi di dovere fa il suo mestiere. E direi che sto bene, la ringrazio. Dunque signorina, il lavoro per la UpTV, che le ho accennato, è di genere puramente creativo, e credo sia improntato sulle sue capacità. Mi segua, prego.
Un ultimo commento che sento di fare è sul personaggio di Lilith Light, già menzionata in precedenza.
Come già detto, la prima stesura di Parallel Ways fu fallimentare. Ma proprio questo fallimento mi spinse a dare del mio meglio per il personaggio.
Così, anche per via dell’esperienza di Deeper than Void, tra un lavoro e l’altro iniziai a scrivere varie storie di stampo action: Lilith affrontò bande criminali, attentati aerei, quartieri corrotti e controllati da sedi di fight club, mercenari geneticamente modificati…
… e la sua storia divenne quella di una guerriera, di una sopravvissuta.
Grazie a lei e alle sue lotte, feci progressi nel mio genere preferito, l’action. E anche Parallel Ways venne modificata in una storia investigativa/action: la qualità della storia incrementò notevolmente.
Potete leggere uno dei capitoli della storia di Lilith qui: Dovevo agire.
Alla fine del percorso credo di aver imparato tanto, e forse, in un senso molto specifico, troppo.
A volte ritengo che quella freschezza originale sia difficile da recuperare, semplicemente perché, con molteplici esperienze, correzioni, studi e riscontri, la propria scrittura viene condizionata da tanti, tantissimi fattori.
Questo è un bene, per l’evoluzione che subisce, che, forse, un male. Quel primo impatto, quel primo aprire qualsiasi programma di scrittura (al tempo usavo nientemeno che il Blocco Note, non avevo idea di che cosa fosse Word fino a Deeper than Void) non lo restituirà nessuno.
Tuttavia, con quella freschezza iniziale non sarei mai arrivato ad Ascend-ent, a ciò che sono adesso, a molte mie capacità attuali.
Come per tutto c’è lato e lato della medaglia, e non c’è progresso se non c’è cambiamento.