A piedi nudi nel parco (Barefoot in the Park) – Recensione

A piedi nudi nel parco (Barefoot in the Park) è una commedia del 1967 con Jane Fonda e Robert Redford. I due attori interpretano una coppia di neosposi che, di ritorno dal viaggio di nozze, si trova ad affrontare per la prima volta la quotidianità della vita coniugale. I problemi emergono subito col trasferimento nella loro nuova casa, ovvero un piccolo appartamento fatiscente all’ultimo piano di un palazzo senza ascensore. L’azione si svolge prevalentemente in questo ambiente, nel quale tutti (eccetto la protagonista) arrivano sfiancati a causa delle molte rampe di scale. La sposa, allegra e piena di vita, affronta la situazione con entusiasmo, energia e positività, mentre lo sposo, serio e di indole tranquilla, trova molta più difficoltà ad adattarsi alle scomodità del loro alloggio. Presto i due dovranno fare i conti con le loro differenze caratteriali, che li portano ad avere una visione molto diversa della vita, apparentemente inconciliabile.

Nel corso della storia i protagonisti si confrontano soprattutto con la madre di lei e con l’eccentrico vicino di casa; meritevole di menzione è anche il tecnico del telefono. I personaggi sono pochi e la trama facile da seguire. Sebbene il finale romantico sia prevedibile, la visione della pellicola rimane ugualmente piacevole: le situazioni rappresentate sono divertenti, molto spassosi i personaggi e i dialoghi. Il film è ben fatto, leggero e ironico, ideale per staccare la spina un paio d’ore: compie perfettamente la sua funzione di commedia.

One Piece – The good, the meh and the bad (Romance Dawn – Drum Island)

Benvenuti! In questo nuovo tipo di recensione, ho deciso di optare per una struttura più diretta.
Senza spiegare troppo la trama, mi lancerò in una serie di impressioni “a caldo” su cosa mi è piaciuto (the good), su cosa ho opinioni contrastanti (the meh) e su cosa non mi è piaciuto (the bad).
Premessa: non ho mai visto One Piece e l’ho iniziato solo di recente, con la mia fidanzata.

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Quando la traduzione letteraria si fa tecnica: La regina degli scacchi

Fonte: Jahddesign

L’inverno e la turbolenta situazione degli ultimi due anni hanno contribuito nell’ultimo periodo a farci passare più tempo in casa. Quale occasione migliore per mettersi in pari con le serie cult degli ultimi anni?

Gli appassionati non si saranno sicuramente lasciati sfuggire La regina degli scacchi, serie rivelazione distribuita da Netflix da ottobre 2020. Non tutti, però, sanno che è tratta da un romanzo omonimo di Walter Tevis del 1983.

Quanto si distanzia l’adattamento della serie dai dialoghi originali? Ed è effettivamente una rappresentazione accurata, seppur romanzata, del mondo degli scacchi?

Mario Andreoni, appassionato linguista e Presidente dell’associazione scacchistica Arcotorre di Chieri, membro della Federazione Scacchistica Italiana, ci dice la sua opinione in merito in questo articolo.

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“Ascend-ent” di Gabriele Glinni – Recensione

Non mi era mai capitato di seguire l’intero ciclo di vita di un romanzo scritto da un’altra persona, fin quando Gabriele non ha avuto l’idea alla base di Ascend-ent. Negli ultimi due anni ho visto quello spunto iniziale prendere una forma e andare incontro a tante trasformazioni, diventando sempre più completo. È stato un viaggio appagante, che ha reso la lettura della versione definitiva ancora più piacevole. Nonostante questo legame personale con l’autore e con il romanzo, in questa recensione farò il possibile per essere imparziale e dare spazio anche a eventuali difetti.

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Ace Attorney, qual è il migliore? La mia classifica (Seconda parte)

Ecco la seconda metà della classifica! Chi ci sarà sul podio? Scopriamolo assieme! Per la prima parte premete QUI.

6 – Phoenix Wright: Ace Attorney – Spirit of Justice

La copertina di Phoenix Wright: Ace Attorney – Spirit of Justice

Rispetto a Dual Destinies, Spirit of Justice è un netto passo avanti nella direzione giusta. Pur avendo alcuni problemi, di cui parlerò tra poco, il gioco è comunque godibile e divertente, grazie a dei casi più interessanti rispetto a quelli del suo predecessore. Anche la gestione dei personaggi è maggiormente efficace: stavolta Apollo e Phoenix seguono entrambi un percorso chiaro, anche se non sempre coerente con il loro background. Athena, invece, è stata (temporaneamente?) relegata a un ruolo più marginale. Queste scelte rendono Spirit of Justice un gioco con un’identità più definita rispetto a Dual Destinies. Anche la trama generale, per quanto un po’ troppo sopra le righe (anche per gli standard della serie), è chiara e si lascia seguire con piacere fino alla fine.
Nonostante queste migliorie, Spirit of Justice ha comunque ereditato alcuni difetti di Dual Destinies. Per esempio pure qui alcuni personaggi sembrano inseriti più per fanservice che per effettive esigenze di trama. Maya che torna per ricoprire per l’ennesima volta il ruolo di damigella in pericolo non è il massimo della vita e pure la presenza di Edgeworth mi è sembrata abbastanza infilata a forza. Ci sono, inoltre, alcuni retcon molto forzati, legati perlopiù al passato di Apollo e al villaggio Kurain. In misura minore, anche la storia della famiglia Gramarye ne ha subito uno.
Proprio come in tutti gli altri giochi scritti da Yamazaki, anche in Spirit of Justice i plot twist legati al delitto hanno ricevuto una cura maggiore rispetto alla psicologia e alle motivazioni dei personaggi. Non mancano però delle piacevole eccezioni a questa regola.
Tra le novità legate al gameplay, la più eclatante è senz’altro l’introduzione delle “Divination Séance”, ossia dei rituali durante i quali è possibile scoprire quali sensazioni ha provato la vittima di un omicidio poco prima della morte. È una meccanica interessante, ma non sempre intuitiva e può creare più di un grattacapo. Durante le indagini, invece, è possibile cimentarsi in alcuni test scientifici assieme a Ema Sky (la detective del gioco), che però ho trovato più macchinosi rispetto a quelli di Apollo Justice.

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Ace Attorney, qual è il migliore? La mia classifica (Prima parte)

La serie “Ace Attorney” ha avuto un grande impatto su di me. Non solo mi ha permesso di divertirmi e distrarmi in alcuni momenti difficili, ma ha anche alimentato la mia passione per la scrittura creativa e mi ha aiutato a conoscere nuovi amici (tra cui Gabriele). Associo ogni gioco della saga a un momento diverso della mia vita e ho tanti cari ricordi anche di quelli che ho apprezzato in misura minore. Non esiste, a mio parere, un Ace Attorney davvero disastroso e meritevole di una grave insufficienza. Al tempo stesso, è innegabile che non tutti i capitoli della serie abbiano raggiunto le stesse vette qualitative. In quest’articolo andrò a illustrarvi la mia classifica personale, cercando di motivare nel migliore dei modi ogni posizione.
(Visto che l’articolo è venuto lunghissimo, ho scelto di dividerlo in due parti. Quella che state leggendo è la prima e copre le posizioni dall’undicesima alla settima).

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Soul Eater – Recensione anime VS manga

Introduzione

Soul Eater è un manga shōnen scritto e disegnato da Atsushi Ōkubo, pubblicato sulla rivista Monthly Shōnen Gangan di Square Enix dal 2004 al 2013, per un totale di 115 capitoli. Circa a metà dell’opera, nel 2008, venne tratto un anime di 51 episodi, realizzato dallo studio Bones.

Proprio il fatto che l’anime venne progettato quando ancora l’opera doveva concludersi sarà oggetto di riflessioni nella presente recensione.

Sia l’anime che il manga seguono la stessa base di storia: in un mondo in cui il male imperversa, contaminando gli uomini con la sua follia, esiste, in Nevada, una scuola nella città immaginaria di Death City che addestra giovani all’uso delle armi.
Nel mondo di Soul Eater, specificamente, tali armi sono persone in grado di trasformarsi in falci, pistole, armi giapponesi e chi più ne ha più ne metta.
Gli apprendisti guerrieri sono chiamati “maestri d’armi” (nell’anime) o “artigiani” (manga): ognuno di loro ha l’obiettivo di raccogliere 99 anime di persone malvagie più l’anima di una strega.
Questo permetterà di trasformare la propria arma in una “Falce della Morte”, una versione potenziata dell’arma di base.
Lo scopo dell’esistenza della scuola è di mantenere la pace uccidendo i criminali e i malvagi, ed impedire che nasca un nuovo kishin (il Dio Demone), un essere che ha mangiato anime umane innocenti e ha raggiunto uno stadio demoniaco, in passato fenomeno già avvenuto con esiti catastrofici.

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Cronache di Luxastra: Ricordi Evanescenti – Commento al primo episodio

Tra le varie organizzazioni presenti a Luxastra, la Chiesa dei Venti è di sicuro una delle più affascinanti e misteriose. Nel corso delle puntate della serie regolare è stata approfondita abbastanza, grazie soprattutto a personaggi come Letho, Boris e Lin, ma è chiaro che restano ancora molti punti oscuri. Con il suo primo episodio, “Cronache di Luxastra: Ricordi Evanescenti” ha dimostrato di poter essere un’ottima fonte di informazioni sulla sfera più religiosa dell’ambientazione creata da Matt. Dopotutto, non poteva essere altrimenti, considerando che si tratta di una mini campagna ambientata nel passato che ha tra i suoi protagonisti Letho.

Rivedere Tommaso al tavolo di InnTale è stato fantastico. Ha dimostrato fin da subito di non aver perso lo smalto e ha fatto un ottimo lavoro per far sentire a loro agio i nuovi giocatori: Andrea “Il Rosso” Lucca ed Erika “Keke” Nuzum. Entrambe le new entry mi hanno fatto un’ottima impressione. Andrea mi è sembrato molto abituato ai giochi da tavolo e non l’ho visto in difficoltà di fronte alle telecamere. Erika ci ha messo leggermente di più a prendere confidenza con la situazione, ma quando la giocata è entrata nel vivo si è sciolta senza troppi problemi.

Sia Tristan che Caila mi sono sembrati due personaggi gradevoli e interessanti, soprattutto per i ruoli che occupano all’interno della Chiesa dei Venti. La mezz’orchessa mi ha fatto ridere davvero tanto durante la scena in cui ha preso da bere per i suoi compagni di viaggio e in generale ho trovato interessante il contrasto tra il suo addestramento brutale e i suoi modi gentili. Di Tristan ho apprezzato il legame di amicizia con Letho, che è stato portato al tavolo con grande naturalezza, dando vita a delle scene gradevoli.

Sulla trama di questa mini campagna non ho ancora molto da dire. Di certo sono curioso di capire che cosa sta succedendo a Bresilia e che ruolo ha il misterioso personaggio apparso nella parte finale dell’episodio. Considerando com’erano andate le cose nei precedenti episodi di Cronache di Luxastra, mi aspetto anche stavolta un bagno di sangue e lacrime, ma spero sempre di essere smentito.

“Akire – La banda di Alastrine” di Selene Rampolla – Recensione

Per costruire una grande saga fantasy è necessario partire dalle fondamenta. A volte bastano pochi capitoli per introdurre nel migliore nei modi gli elementi chiave della storia, ma in altre occasioni può essere necessario dilungarsi di più, andando a svelare poco per volta gli “strumenti” utili alla comprensione del lettore. È proprio quello che avviene in “Akire – La banda di Alastrine”, primo volume della serie scritta da Selene Rampolla.

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Navigavia – Commento al secondo episodio

La seconda puntata di Navigavia è stata tanto caotica quanto divertente. Le sequenze d’azione, tipiche di 7th Sea, hanno permesso a Luca di sbizzarrirsi con cambi di scena repentini e ritmi senz’altro più rapidi di quelli cui ci aveva abituati Luxastra. I giocatori hanno dimostrato di potersi adattare senza troppi problemi a quest’atmosfera sopra le righe, tirando fuori dal cilindro alcune trovate sorprendenti. Mark si è rivelato il più creativo e ha sfruttato al meglio le abilità del suo personaggio, che non potrà contare su tanta forza fisica, ma di certo non è privo di carisma e intelligenza. La sequenza in cui ha cercato di sedurre Carlos è stata un po’ esagerata? Forse sì, ma mi ha fatto morire dalle risate e sinceramente sono più che felice di scendere a patti con la sospensione dell’incredulità per vedere delle perle simili.

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