La Torino dell’occulto

Non solo residenze reali, piazze eleganti e un passato industriale: Torino nasconde anche un lato oscuro…

Elegante, austera, nobile: quando si pensa a Torino, le prime immagini che vengono in mente sono probabilmente quelle di lunghi portici, maestosi palazzi reali e deliziosi caffè storici. Tuttavia, il capoluogo piemontese nasconde un’anima mistica che può sfuggire agli occhi di chi si limita ad ammirarne la superficie.

Gli appassionati di occulto ed esoterismo trovano in Torino una meta di viaggio quasi obbligata; secondo la leggenda, infatti, la città si troverebbe all’esatta intersezione dei triangoli della Magia Bianca, insieme a Lione e Praga, e quello della Magia Nera, con Londra e San Francisco. Questa posizione strategica sarebbe stata scelta da Fetonte, figlio di Iside (la dea della magia), poiché la città sorge all’intersezione di due fiumi, il Po e la Dora. Secondo la leggenda, il Po rappresenterebbe il Sole e la mascolinità, mentre la Dora la Luna e la femminilità; unendosi, i due fiumi creano una forma a Y che simboleggia il bivio che porta, da una parte, verso il cielo, e dall’altra verso gli inferi. Inoltre, si crede che Fetonte volesse innalzare all’intersezione tra i due fiumi un culto al dio Api, che nell’iconografia egizia veniva rappresentato con le sembianze di un toro.

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“Illusi – Diario di favole mai raccontate”, il romanzo d’esordio di Simone Vannetti – Segnalazione

Considerando che ho fondato un blog dal nome “Pillole di Folklore & Scrittura”, nessuno si stupirà sentendomi dire che da sempre nutro una grande passione per i libri e il folklore. Questi due mondi viaggiano spesso su binari separati, ma ogni tanto si incontrano, dando vita a opere che esercitano su di me un fascino notevole. È questo il caso di “Illusi – Diario di favole mai raccontate”, il romanzo d’esordio di Simone Vannetti. Si tratta di un fantasy ambientato negli anni ’20 del 900 e narra le gesta del “Primo Squadrone Cacciatori di Illusioni”, un’unità militare che ha il compito di gestire il Sottomondo, ossia l’insieme di tutte le creature magiche appartenenti al folklore occidentale.

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Nisaba, la scriba delle divinità sumere – Pillole di Folklore # 41

Nella mitologia sumera, Nisaba (chiamata anche Nidaba) era la dea della saggezza, della scrittura, della letteratura e delle misurazioni. Suo marito era Haia, il dio dei magazzini, mentre sua figlia era Sud (nota come Ninlil dopo il matrimonio con Enlil), la signora dell’aria.

Enki, il dio della saggezza, assegnò a Nisaba il compito di essere la scriba delle divinità sumere. La dea infatti si occupava di scrivere cronache, resoconti, annotazioni e molto altro ancora. Gestiva inoltre la conservazione dei confini.

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Chiesa di Sant’Agata de’ Goti – Folklore romano #5

Nel quartiere di Monti, poco discosta dal quadrivio di via Panisperna, affacciata su via Mazzarino, troviamo l’antica chiesa di Sant’Agata de’ Goti.
La fronte è del ‘700, dovuta a Francesco Ferrari; poco oltre troviamo un cortiletto del 1633 pieno di vegetazione, che impedisce il filtrarsi della luce e dei rumori.

Il portale della chiesa si trova accanto a lapidi e tombe antiche, e da qui arriviamo al bellissimo interno, adornato di mosaici bizantini dal console romano, di origine gote, Flavio Ricimero, da cui la chiesa venne fondata, nel V secolo.

Allora perché il nome “Chiesa di Sant’Agata dei Goti”?

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I Centzon Totochtin, l’unità di misura dell’ubriachezza – Pillole di Folklore # 40

Nella mitologia azteca, i Centzon Totochtin (letteralmente “quattrocento conigli”) erano un gruppo di divinità che prendeva parte a moltissime celebrazioni. Erano dei dell’ubriachezza e avevano l’aspetto di conigli. Alcune delle divinità incluse in questo gruppo erano: Tepoztecatl, Texcatzonatl, Colhuatzincatl, Macuiltochtli, Ometochtli.

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Mertseger, colei che ama il silenzio – Pillole di Folklore # 39

Nella mitologia egizia, Mertseger proteggeva la necropoli di Tebe. Il suo nome significava “colei che ama il silenzio” o “colei che ama colui che produce silenzio” (chiaro riferimento a Osiride). Aveva l’aspetto di una donna con la testa da cobra.

Come altri miti, anche quello di Mertseger fu creato per scoraggiare un determinato comportamento. In questo caso si scelse di dare vita a una dea in grado di spaventare coloro che profanavano le ricche tombe reali e nobiliari. Mertseger puniva con severità chi disturbava il sonno dei morti, ma era alquanto misericordiosa con chi le mostrava devozione.

Era una divinità locale e non le vennero mai dedicati templi imponenti. Si dovette accontentare di piccoli templi rupestri e di qualche cappella ai piedi della collina Ta-Dehent, il luogo in cui dimorava e di cui era la personificazione.

Per approfondire:

http://www.wikiwand.com/it/Mertseger

https://www.ancientegyptonline.co.uk/meretseger.html

L’illustrazione di Mertseger è stata realizzata da Irene Martini:

https://www.facebook.com/profile.php?id=100028366463521

http://irenemartiniportfolio.blogspot.com/?fbclid=IwAR3nrMuLcxQVnltse1Uv_MCyBhz-S1PPnRybK1mTLl52U_SsSjPLjIScfRA

Dark Souls 1 – Lore e segreti nascosti

Chi non ha mai sentito parlare di Dark Souls e della sua indubbia fama di essere il più difficile e dispersivo del genere dei giochi di ruolo? Ebbene sì, dagli oscuri vicoli della Città dei Non Morti ( Undead Burg) alla splendente residenza degli Dei Anor Londo, si cela una fitta trama.


Dark Souls è un gioco di azione fantasy sviluppato da FromSoftware sotto la direzione di Hidetaka Miyazaki. Ed è proprio in questo gioco che la genialità di Miyazaki viene fuori: la storia non è narrata da nessun NPC, il protagonista (chosen undead) non parla nemmeno. Durante il gameplay il giocatore viene a conoscenza di piccoli hint dalla descrizione degli oggetti in gioco, droppabili e comprabili. In questa sezione descriverò la storia di Dark Souls e le epoche che hanno contraddistinto il gioco. Nei prossimi articoli esaminerò ogni zona del gioco, il destino dei suoi abitanti e le figure rilevanti, tra cui i quattro cavalieri di Gwyn (Ornstein, Artorias, Ciaran, Gough).

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Le fontane di piazza Barberini e l’acqua di miele – Folklore romano #4

Piazza Barberini ha per sfondo il palazzo omonimo e mette in risalto, in tutta la sua gloria, la Fontana del Tritone, realizzata dall’artista Bernini su ordine di Urbano VIII.

La fontana è formata da quattro delfini che sostengono una conchiglia aperta. Su di essa siede il “glauco”, che, a giudicare dalla posizione, sembra voler prendere fiato per suonare, ma dalla sua bocca fuoriesce uno zampillo d’acqua.

Al cominciare di via Veneto si trova l’altra Fontana: quella delle Api. Realizzata sempre da Bernini per conto di Urbano VIII, è formata da una grande conchiglia posta accanto all’ape regina che sembra volare verso l’alto. Le due api, invece, mostrano di dissetarsi nella vasca e spruzzano l’acqua. Le api alludono allo stemma di Barberini.

Si dice che l’acqua, ai tempi dell’artista Bernini, fosse rara nelle case più modeste. Dunque Bernini, a cui era stato concesso di beneficiare di un certo quantitativo di acqua, la rivendesse a prezzo alto.
Il popolo romano, in collera, si trovava a commentare sul fatto che le api della fontana “succhiassero l’acqua per poi ridurla in minuscoli getti” (le stesse api che il papa celebrava nell’atto di “succhiare il miele”, dunque con un significato ben differente rispetto alla detta insinuazione).

Charun, il demone della morte – Pillole di Folklore # 38

Nel folklore, lo psicopompo è un’entità che ha il compito di condurre le anime dei defunti nell’aldilà. Nella mitologia etrusca, questo importante ruolo veniva svolto da Charun, il demone della morte. Egli allontanava i defunti dai loro cari dopo il decesso e li accompagnava durante tutto il loro ultimo viaggio (che poteva avvenire a piedi, a cavallo o su un carro). Veniva spesso affiancato da Vanth, un’altra dea alata legata al mondo degli inferi.

Charun viene solitamente rappresentato come un demone dal lungo naso da avvoltoio, una barba ispida e nera e delle orecchie appuntite. In alcune pitture funerarie ha la pelle blu. Indossa degli alti calzari e una tunica lunga fino a poco sopra il ginocchio. In mano regge il martello che, secondo alcuni studiosi, utilizzava per chiudere i pesanti chiavistelli delle porte dell’Ade. Secondo altre interpretazioni, utilizzava l’arma solamente per colpire o spaventare le anime che conduceva nell’aldilà.

Alcuni autori sostengono che Charun non si limitasse a condurre i morti nell’Ade, ma che punisse anche le anime dei malvagi.

Sleipnir, il cavallo di Odino – Pillole di Folklore # 37

Nella mitologia norrena, Sleipnir è il cavallo magico a otto zampe cavalcato da Odino, il padre degli dei. Il suo manto è grigio e, secondo alcune versioni del mito, ha delle rune incise sui denti. È il cavallo più veloce di tutti ed è in grado persino di correre sull’acqua e nel cielo. Il significato del suo nome è “colui che scivola rapidamente”.


Secondo le teorie di alcuni studiosi, Sleipnir potrebbe essere collegato alle pratiche sciamaniche diffuse tra gli antichi pagani del nord Europa. È infatti molto diffusa la credenza che gli sciamani, durante i loro viaggi estatici, viaggiassero per il cosmo in sella a un cavallo.

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