Fedör Dostoevskij, scrittore russo, ft. Ilenia Scaramella

Buongiorno a tutti! Di recente, in una conversazione con Ilenia, una mia cara amica, si è discusso di uno scrittore russo che l’ha appassionata molto, Fedör Dostoevskij.

Ilenia ha fatto alcuni commenti che mi sono parsi molto interessanti, specificamente l’interpretazione della società russa, il modo di scrivere i dialoghi dei personaggi e l’evoluzione dello stile dell’autore, tra le varie.
Dunque ho deciso di porle alcune domande mirate per andare più a fondo sull’argomento.

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Il sacrificio eroico.


ATTENZIONE! L’articolo contiene immagini grafiche che potrebbero urtare la sensibilità del lettore.

Un personaggio si sacrifica per il bene di qualcuno o qualcosa, in genere dando la sua vita.

È uno di quei momenti clou che di solito riescono a dare un epilogo memorabile alla vita di un personaggio, causando un impatto devastante nella storia.

Il sacrificio eroico può infatti avvenire:

  1. A inizio storia, dove può essere usato come motivazione per qualche altro personaggio per fargli perseguire, con ancora più fermezza e volontà, i suoi obiettivi;
  2. A metà storia, dove tale sacrificio può rappresentare una grossa sconfitta per il cast di eroi;
  3. A fine storia, dove il sacrificio può rappresentare l’azione necessaria per fermare e sconfiggere un male superiore.
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Vivacizzare i dialoghi dei personaggi.

Scrivendo un dialogo durante un racconto, avete mai avvertito un’antipatica sensazione di staticità, come se i personaggi si trovassero congelati nel tempo e nello spazio mentre parlano?

Ritengo che questa sensazione sia non solo normale, ma anche purtroppo un insidioso problema che, se non rispettato e lavorato a dovere correttamente, può minare la qualità del lavoro.

I dialoghi sono naturalmente alla base dei rapporti tra i personaggi, lo sviluppo della storia, eccetera, ma come si può evitare di renderli troppo statici?

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La tecnica del “foreshadowing”.

Avrete a volte notato, in film, telefilm, libri o videogiochi che sia, un personaggio utilizzare all’improvviso un oggetto o una capacità, senza alcun preavviso nella trama, magari in una situazione di particolare difficoltà.

Il personaggio riesce quindi a sfuggire dalla situazione ardua in modo conveniente e gratuito, lasciando allo spettatore/lettore/ecc. una sensazione di amaro in bocca (per approfondire, la voce Deus Ex Machina su TvTropes: https://tvtropes.org/pmwiki/pmwiki.php/Main/DeusExMachina).

In casi come questo, il fallimento dello scrittore è spesso dovuto a un semplicissimo motivo: la mancanza di un set-up precedente, di “foreshadowing”.

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Sequel malriusciti, alcune considerazioni.

Alla conclusione di un proprio lavoro, un autore si trova spesso a dover valutare l’idea di realizzare uno o più sequel: solitamente benvenuti e pianificati, come per quanto riguarda la collana di Harry Potter, in altri casi esistono realtà ben più complesse.

Frequentemente capita di parlare del fatto che il sequel di un lavoro di successo non sia all’altezza dell’originale. Ciò spesso si attribuisce agli editori e alle campagne di marketing che costringono gli autori a continuare a scrivere nello stesso universo.

Un lavoro di successo è un lavoro che porta buoni incassi. Non soltanto nella sua forma originale, ma anche in forma di gadget, videogiochi, magliette a tema e via discorrendo. I sequel vengono a volte forzati sugli autori o sviluppatori proprio per continuare una catena di vendita. Per le più svariate ragioni, questo può portare a discostarsi troppo dall’idea originale, a volte rovinandola.

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Come bilanciare i pregi e i difetti dei personaggi (e non trasformarli in Mary Sue)

Spesso e volentieri, i personaggi più odiati dai lettori non sono gli antagonisti senza scrupoli, bensì i protagonisti infallibili e privi di difetti.  Questi cliché letterari ambulanti superano con facilità ogni ostacolo, non hanno mai un momento di debolezza e, in molti casi, sono persino dotati di abilità fuori dal comune (ovviamente non giustificate dal loro background). Per la maggior parte dei lettori è difficile immedesimarsi in qualcuno di così perfetto o provare empatia nei suoi confronti. È vero che le storie narrate nei libri non devono per forza rispecchiare la realtà al 100%, ma è comunque importante che siano quantomeno verosimili e in grado di creare una connessione emotiva col lettore.

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L’eleganza del “subtle writing”.

Quando si è alle prime armi con la scrittura creativa, è molto facile incappare in uno degli errori più tipici: esagerare e abbondare con le descrizioni e le informazioni fornite.

Lo scrittore principiante potrebbe ritenere che descrivere tutto nel dettaglio, con ampie spiegazioni o dialoghi che esplicitano tutto, sia sinonimo di qualità e attenzione, ma in realtà, in molti casi, non farà altro che danneggiare il suo stesso lavoro.

Proverò a spiegare, con esempi pratici, la ragione.

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Scrivere un grande villain: alcuni consigli.

Immagino che avrete sentito dire spesso che un buon villain è al cardine dell’intera storia. Questo modo di pensare si rivela spesso e frequentemente vero: un villain scritto correttamente non soltanto aumenta la tensione e tiene il lettore interessato, ma è anche una figura che desta scalpore e intrigo.

Se un villain è scritto correttamente, infatti, vorrà essere visto il più spesso possibile intento a pianificare i suoi schemi o a compiere le sue azioni malvagie.

Ma come riuscire nell’ardua impresa? In questo articolo, cercherò di dispensare alcuni consigli che spero potranno essere utili.

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I refusi, qualche consiglio su come evitarli

Anche allo scrittore più attento può capitare di commettere un errore di battitura, magari dovuto alla fretta o a una piccola distrazione. Basta un nonnulla per scrivere “presa” al posto di “persa” o “trio” al posto di “tiro”. A differenza degli errori più grossolani, di solito prontamente segnalati da Word o da un altro programma di videoscrittura, questi refusi possono essere difficili da individuare, soprattutto quando si rilegge un testo scritto da poco. In questo post cercherò di darvi qualche consiglio utile per riconoscerli con maggiore facilità.

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La tecnica dello “show, don’t tell”.

Parlando di scrittura creativa, è impossibile non nominare la famosa tecnica narrativa dello “Show, don’t tell”, di origine anglosassone.

Tradotto letteralmente “mostra, non raccontare”, la tecnica consiste nel privilegiare e dare priorità al mostrare degli eventi, al lasciarli vivere a un personaggio, facendo sentire le sue emozioni e i suoi pensieri, anziché ridurre il tutto a riassunti, commenti o riferimenti sbrigativi.

Immaginate due scenari. Il primo in cui un vostro amico vi racconta di un bellissimo viaggio all’estero, delle sue esperienze, dei luoghi che ha visitato, delle persone con cui ha avuto a che fare, dei piatti locali che ha mangiato. Il secondo in cui voi vi dirigete in tale luogo e vivete le stesse esperienze, di vostra persona.

Grossomodo il concetto di “Show, don’t tell” sta proprio in questa differenza: vivere un’esperienza è personale, proprio, unico. Sentirne parlare o leggerne a riguardo può soltanto darne un’idea, una vaga immagine, o addirittura annoiare.

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